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Il marchio sul braccio, per favore no

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L'ANALISI

Il marchio sul braccio, per favore no

  • –di Vittorio Emanuele Parsi

Dopo che per anni abbiamo accusato i nostri partner europei e la stessa Unione di un intollerabile e incomprensibile disinteresse sulla questione dei profughi e migranti, sottolineando come l'inazione avrebbe potuto portare alla crisi dello stesso progetto europeo, ora è l'attivismo confuso e arrembante di molti governi che rischia di mettere ancora una volta nell'angolo le istituzioni europee.

Da una parte si costruiscono muri (Ungheria) o si fa un generoso uso di maniere forti nelle stazioni o lungo le linee ferroviarie (ancora Ungheria, ma anche Francia e Regno Unito), oppure si “marchiano” a pennarello, con un numero sul braccio i fortunati destinati a salire sui treni diretti in Germania (infelice trovata della Repubblica Ceca). Dall'altra si aprono cuore e frontiere (Germania, Austria) con scarsa attenzione agli effetti che le decisioni assunte unilateralmente producono sui Paesi vicini. Di questo passo, il Vertice europeo convocato per il 14 si troverà a dover cercare di ratificare e armonizzare decisioni già prese a livello nazionale, decisioni che oltretutto risultano spesso divergere nello spirito e negli obiettivi.

Il vertice è stato convocato, come si sa, su iniziativa dei “tre grandi”, compresa la Gran Bretagna che intende chiudere le proprie frontiere persino ai cittadini comunitari privi di contratto di lavoro, e ha già un piede praticamente fuori dell'Unione. Ma la vera protagonista della scena è la Germania della Cancelliera Merkel, che si è mossa con teutonica solerzia. Preso giustamente atto che la questione migratoria è tutt'altro che una contingente emergenza, al punto che la sua gestione dovrà probabilmente richiedere una modifica della Costituzione tedesca, Berlino ha già annunciato che le frontiere tedesche saranno aperte ai profughi dalla Siria. Chissà che cosa avranno pensato i greci nello scoprire il lato tenero della signora Merkel...Intendiamoci molto bene. Siamo felici che la Germania abbia cambiato atteggiamento e che stia dimostrando la solita capacità organizzativa anche nell'affrontare questa colossale sfida umanitaria. Sta di fatto che la generosità tedesca, l'inversione a U compiuta dalla Cancelliera sulla vicenda dell'accoglienza ai profughi, sulle quote obbligatorie e sulla riforma del diritto d'asilo ha già provocato forti malumori in molti dei Paesi dell'Europa centro-orientale.

Purtroppo ne esce rafforzata anche la sgradevole sensazione che, né più né meno che per la crisi greca e il futuro dell'euro, qualunque decisione “comunitaria” sia nella sostanza la ratifica delle scelte formulate a Berlino prima che a Bruxelles. In ogni caso il governo della Cancelliera ha bruciato tutti sul tempo, esercitando una sorta di diritto di prelazione (“noi prenderemo solo i siriani”) e così scaricando oggettivamente sulle spalle degli altri la patata più bollente: ovvero quella dei cosiddetti migranti economici che non rientrano nei possibili “richiedenti asilo”. Si stima che essi compongano più della metà dei profughi che premono alle frontiere europee e che rischiano di restare destinati ai Paesi di approdo (l'Ungheria, la Grecia, l'Italia, la Spagna) per un tempo indeterminato. Le cosiddette “quote” infatti dovrebbero riguardare i candidati allo status di rifugiati e non anche quelli che non hanno nessun titolo e quindi nessuna ragionevole speranza di ambire a tale status. Che si farà di questi ultimi? Chi se ne farà carico? Il rischio che una volta soddisfatta la “propria quota”, i Paesi non di approdo si chiudano a riccio, in una compiaciuta autoassolutoria generosità è tutt'altro che peregrino.

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