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Doppio sollievo per i mercati

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L’IMPATTO DELLA MOSSA

Doppio sollievo per i mercati

La Bce c’è, è vigile e consapevole dei rischi, della volatilità e delle incognite in aumento, ed è pronta a intervenire e fare di più se necessario. È questo che i mercati volevano sentirsi dire ieri.

E questo è il messaggio arrivato ieri, con un inciso: nessun intervento sarà prematuro. Se e quando necessario, il programma degli acquisti di titoli del settore pubblico della Bce sarà modificato e dunque ampliato in corsa perché, come dimostrato ieri con il ritocco inatteso di un parametro del meccanismo del PSPP, questo «Qe» è «flessibile» e si «adatta alle situazioni» pur di centrare l'obiettivo di inflazione vicina, appena sotto il 2%, pur di evitare che la Banca finisca dietro la curva.

Di brutte notizie ieri il numero uno della Bce Mario Draghi è stato costretto a darne, dal Pil all'inflazione rivisti al ribasso, dagli interrogativi sulla Cina alle difficoltà dei Paesi emergenti e un euro troppo forte che non aiuta la crescita europea, dai rischi e dalla volatilità in aumento anche sui motivi che muovono il prezzo del petrolio, alle incognite su fenomeni di dubbia interpretazione, che potrebbero essere transitivi e dunque meno gravi, o permanenti e quindi con implicazioni più profonde e serie.

Lo scenario è peggiorato sul breve termine e in peggioramento forse anche sul lungo termine, questo i mercati lo temevano già ma ieri sono stati sollevati nell'apprendere che la Bce ne è consapevole: l'importante per i mercati è che la Banca stia monitorando la complessità della situazione, che ne veda i rischi e che sia pronta ad agire.

Le due modifiche principali possibili del PSPP, l'allungamento con posticipo della scadenza ora al settembre 2016 e l'aumento dell'importo dagli attuali 60 miliardi di acquisti al mese, non sono state discusse ieri dal Board della Bce – ha sottolineato Draghi - ma per i mercati è come se lo fossero state. L'efficacia di una banca centrale dipende soprattutto dalla sua credibilità e per rafforzare la sua credibilità ieri la Bce ha dato in pasto ai mercati un elemento concreto: uno dei parametri del programma in corso – la quota di titoli acquistabili per singola emissione è stata aumentata dal 25% al 33% - è stato modificato con un annuncio a sorpresa (nonostante una revisione del PSPP a sei mesi dall'avvio fosse programmata) e questa inevitabilmente è stata interpretata come la dimostrazione tangibile della capacità e volontà della Banca di agire, di adattarsi agli scenari in continua evoluzione.

Il PSPP è un quantitative easing diverso da quello della Federal Reserve e della Bank of England perché già adattato alle peculiarità dell'Eurozona, con acquisti di bond pubblici ripartiti tra i 19 Paesi membri dell'unione monetaria in base alla capital key (la partecipazione al capitale della Bce delle banche centrali nazionali in base a Pil e popolazione) e i mercati fin da subito hanno messo in evidenza il rischio di una carenza di bond in alcuni Paesi. La scarsità di bond acquistabili è stridente nel caso della Germania, per esempio, che quest'anno avrà emissioni di titoli di Stato nette negative (per il surplus di bilancio) e che invece pesa sul PSPP con la maggior quota di acquisti (17,99% la capital key della Bundesbank, 14,17% della Banque de France, 12,31% della Banca d'Italia). La modifica ieri degli acquisti dal 25% al 33% sulle singole emissioni potrebbe essere interpretata come la conferma di questo problema, ma per i mercati ha pesato di più la decisione della Bce di intervenire per migliorare l'efficacia del programma: la Bce acquista meno BTp e più Bund, ma l'impatto positivo sullo spread e sui rendimenti assoluti per i titoli italiani c'è comunque stato.

In particolare per i BTp, la prospettiva di un'estensione del programma PSPP con aumento dell'importo degli acquisti, un Pil europeo e mondiale più debole e un'inflazione tendenzialmente più bassa sono tutti fattori di sostegno ai prezzi, con pressione al ribasso sui rendimenti. Ma soprattutto sul breve periodo: tant'è che ieri i BTp e i Bund si sono mossi con rendimenti in netto calo. I BTp a cinque anni e i Bobl sono passati in giornata rispettivamente dallo 0,95% allo 0,88% e dallo 0,127% allo 0,071%. I decennali sono scesi per il BTp dall'1,99% all'1,92% e il Bund dallo 0,79% allo 0,73%. Sulla scadenza a 30 anni, l'impatto è stato più contenuto perché sulle lunghissime scadenze valgono altre considerazioni. Infatti, sul medio-lungo termine, se il rallentamento cinese dovesse rivelarsi transitorio (Draghi ha però detto che è non dato saperlo ora, potrebbe anche essere permanente), se il ribasso del prezzo del petrolio dovesse dipendere di più dall'offerta che non dalla domanda (positivo quindi per la crescita), se la politica monetaria convenzionale e non della Bce dovesse portare i suoi frutti con un euro più debole e un'inflazione al rialzo verso il 2%, allora i rendimenti di Bund e BTp dovranno tornare a salire, con una normalizzazione dei tassi. Tra i tanti messaggi ieri di Draghi, quello sulla Federal Reserve e su un possibile rialzo dei tassi Usa è il più esplicito per tracciare la prospettiva di medio-lungo termine: se questo (l'aumento dei tassi Usa) dovesse essere necessario per consentire alla Fed di centrare il suo obiettivo, «questo sarebbe un plus per il mondo perché è bene che le banche centrali raggiungano gli obiettivi». Credibilità prima di tutto. E il rischio reputazionale la Bce non lo vuole di certo correre con un PSPP inadeguato a quanto necessario.

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