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Il rischio-Cina frena le attese di ripresa

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Il rischio-Cina frena le attese di ripresa

Cernobbio - Il rallentamento della Cina ha preso il posto della crisi greca nei sondaggi dei rischi più gravi per la ripresa mondiale al Workshop Ambrosetti dove si è radunato il Gotha della finanza e dell’economia del paese. A turbare i sonni degli imprenditori c’è la tempesta finanziaria cinese con il 36% dei sondaggi, la conseguente frenata dei mercati emergenti (25%), le sanzioni alla Russia per la crisi ucraina (15%) e infine il terrorismo islamista (7%). Linda Yueh, economista cinese presente al Workshop nonché autrice del libro la “Crescita cinese, la nascita di una superpotenza economica”, ha spiegato perché le turbolenze finanziarie cinesi hanno colpito i mercati e l’economia mondiale. «Finora la Cina ha prodotto crescita negli ultimi 30 anni basandosi su accumulazione su capitale e lavoro per il 70%, fattori di produttività per il restante 30% che comprende capitale umano, riallocazione dei fattori, innovazione o spesso pura imitazione». Tutto questo sistema di produzione, che ha assicurato crescite del Pil al 9,6% annuo, è giunto al capolinea. «Oggi Pechino deve cambiare pelle aumentando la propria resistenza agli shock, riducendo l’export, aumentando i consumi interni, tagliando le inefficienze e aumentando il peso del settore privato», ha ricordato Yueh.

«A pagare la bolletta del rallentamento cinese saranno le aree che esportano materie prime, come l’America latina e l’Africa, e prodotti finiti come la Germania. Anche le multinazionali subiranno un duro colpo». E l’Europa? «L’Europa negli ultimi anni ha migliorato poco - ha ricordato Philippe Lagrain, docente alla London School of Economics –. L’inflazione è bassa, il Qe non è riuscito ad aumentarla. Debito e disoccupazione restano problemi seri e la Germania cresce, ma meno degli Stati Uniti». Colpa dei paesi meridionali? «No, anche i paesi settentrionali non si sentono molto bene. La Finlandia cresce meno del Portogallo, l’Olanda corre meno della Francia; quindi è l’eurozona a non funzionare», spiega Lagrain. Le cause di questa fatica nel ritrovare una crescita? «Carenze di innovazione, scarsità di imprenditorialità, mercato del lavoro rigido, Stato poco efficiente, crescita insufficiente di produttività. Ma soprattutto i governi hanno dissipato il valore creato dai privati», ha incalzato Lagrain. A preoccupare sono il calo demografico che pone la crescita potenziale europea all’1%. «Gli investimenti sono a -15% del livello del 2008, anno dell’inizio della crisi. Chi è indebitato non può spendere e si è fatto troppo poco sul fronte del debito delle famiglie e delle imprese. L’Europa è intrappolata tra bassa crescita e alti debiti», ha spiegato Lagrain. Che fare? «Occorre affrontare il debito in modo più decisivo, rafforzare il sistema bancario, usare maggiormente le banche d’investimento, ridurre la rigidità del Patto di stabilità consentendo il mancato utilizzo nel computo degli investimenti, e infine una spolverata finale di riforme strutturali», ha concluso l’economista della Lse di londra.

«I problemi di crescita hanno colpito il cuore dell’eurozona, la Germania e anche l’Europa del Nord – ha ammesso Michael Burda, professore di economia alla Humboldt Univeristy di Berlino, che ha invitato tutti i presenti ad evitare populismi verso i temi dell’immigrazione.

Infine Nouriel Roubini, docente della University of New York’s Stern School of Business, secondo cui la reazione delle Borse mondiali al crollo di quella di Shanghai è stata «eccessiva, irrazionale e irragionevole». «Il rallentamento cinese è strutturale, l’anno prossimo Pechino crescerà del 6% e dopo del 5%. Quanto alla stagnazione secolare i relatori si sono divisi: Roubini non è stato pessimista, ma non l’ha esclusa ricordando la possibilità di margini di miglioramenti tecnologici, mentre Michael Burda ha ricordato che gli Usa sono usciti dalla grande depressione del ‘29 solo con la guerra, e infine Linda Yueh ha ricordato che quando le società invecchiano i consumi e gli investimenti calano per un lungo tempo.