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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2015 alle ore 06:35.

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«È più facile governare un Paese che ha tutto da guadagnare, piuttosto che un Paese che, oggi, ha tutto da perdere”. In questa intervista al Sole-24Ore Jörg Wuttke, presidente della Camera di commercio europea a Pechino, chiama in causa la Cina di oggi e i cinesi, costretti ad archiviare gli anni d’oro della crescita a due cifre. E avverte: anche per chi li governa, i piani di gioco si sono ampliati a dismisura, mantenere la barra non sarà semplice.

Presidente, adesso che i bei tempi sono archiviati che succede? Il position paper 2015-16 che lei ha appena illustrato rispecchia un Paese in notevole difficoltà. Le forze del mercato sembrano scatenate contro il miracolo cinese.

A due anni dal Terzo Plenum del 2013, quello in cui Pechino ha deciso proprio di dare un ruolo maggiore alle forze di mercato, le riforme per la liberalizzazione vanno a rilento. La leadership cinese avrà bisogno di più audacia per cambiare nonostante le mille difficoltà anche interne.

Il quadro non sembra così chiaro, a guardare le forze evocate dallo stesso Xi Jinping contro le riforme. Durante la parata i leader, anche quelli in pensione, erano tutti lì sul palco della Tienanmen. Presenti come non mai.

Oggi il quadro del potere cinese è frammentato, c’è il governo, il partito, ci sono i ministeri, eppure i margini di miglioramento per il Paese esistono. Se si guarda al Pil pro-capite siamo ai livelli di Corea e Giappone tra gli anni 60 e 70, con grandi prospettive di crescita, nonostante i dubbi sull’economia di questi ultimi tempi. E, aggiungo, nonostante le grandi differenze tra le diverse aree cinesi che mi fanno pensare un po’ all’Europa. Divisa tra aree in crescita e altre in crisi. L’Heilongjiang cresce del 2, Chongqing del 12. Sembra un po’ come la Grecia e la Germania.

I fondamentali della Cina non vanno affatto bene. I dati delle dogane diffusi ieri sull’import export di agosto sono preoccupanti.Cosa impedisce, a suo avviso, questo adeguamento del sistema economico che sembra davvero urgente?

Il governo cinese deve attuare le riforme contenute nel pacchetto di decisioni approvate due anni fa, proprio per far fronte al rallentamento dell’economia. Alcune cose sono state realizzate, la Pilot Shanghai free trade zone, ad esempio, basata sul principio della riduzione della negative list, quella che vieta l’accesso ai gruppi stranieri per determinate attività, ma anche l’aumento delle aree di libero scambio dopo l’istituzione di quella di Shanghai nel settembre 2013. Tra loro è scattata una vera e propria competizione.

Lei ha detto che l’apertura nelle Pilot Ftz ha avvantaggiato più le aziende locali, meno quelle straniere.

Certo, ma il processo è partito. Tra le aree che adesso avranno bisogno di un intervento tempestivo da parte del governo ci sono quelle relative alle riforme del sistema finanziario e la riduzione delle barriere di accesso al mercato per i gruppi del settore privato. La tentazione di cadere in atteggiamenti protezionisti in Cina è forte, specie nel settore del public procurement e in alcuni settori come quello delle ferrovie o del farmaceutico. Non c’è competizione ad armi pari tra stranieri e cinesi.

La Camera di Commercio Europea sta seguendo i progressi sull’accordo per la rinegoziazione degli investimenti tra Cina e Ue, la crisi finanziaria potrà comportare ritardi o intoppi?

A fine mese a Pechino c’è un nuovo round del dialogo Europa-Cina e la Cina tiene moltissimo ai rapporti con l’Europa. Vuole il Fta come quello con gli Usa. Chiede l’adeguamento dello status di market economy. Non credo che queste ultime due richieste saranno accolte presto: sono qualcosa che serve soprattutto a validare la Cina sullo scenario internazionale.

C’è chi pensa che questa sia stata la molla che ha spinto la Cina a tagliare di due punti il valore dello yuan in un momento di grave crisi dei mercati.

Il timing non poteva essere peggiore. Si può spiegare, la mossa, come un misto di self confidence e di desiderio di essere accolti dalla comunità internazionale, in questo caso la Cina puntava all’inserimento, rimandato all’anno prossimo, del paniere dei diritti speciali di prelievo del Fondo monetario. La mossa andava fatta ma non certo mentre i mercati crollavano. Tutto ciò, evidentemente, ha creato una sorta di credibility loss.

Resta il fatto che certi dati dell’economia sono a rischio. Da cosa deve guardarsi la Cina?

Il debito. Esistono cifre relative al debito che probabilmente non rispecchiano la realtà. Secondo McKenzie il debito è al 282% del prodotto interno lordo. Ma quello degli enti locali è terribile, probabilmente tre volte tanto quanto quello dichiarato, mentre quello corporate addirittura non si riesce addirittura a quantificare, tra bond, loans, collaterali e via dicendo. Nessuno sa a quanto ammonti.

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