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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2015 alle ore 06:35.

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New York

Gli inviti, gli allarmi, le suppliche si moltiplicano. Una processione diretta alla Federal Reserve, portatrice d’una richiesta che accomuna istituzioni internazionali, commentatori e influenti investitori: non è il caso che la Federal Reserve alzi i tassi di interesse, seppur solo di poco, d’un quarto di punto, la prossima settimana al suo vertice del 16 e 17 settembre. Il mondo, avvertono, non è pronto, con l’economia globale nuovamente sotto pressione e i mercati preda di volatilità, ad avviarsi verso la normalità di politica monetaria. È più prudente aspettare, almeno fino a fine anno.

L’ultimo appello, con toni foschi, è giunto dalla Banca Mondiale. Il suo capo-economista, Kaushik Basu, ha fatto sapere in un’intervista al Financial Times che una stretta ora rischierebbe di generare «panico e turbolenze» sui mercati emergenti, che cadrebbero vittima di fughe di capitali. E ha dato man forte all’organizzazione sorella, il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde, già da tempo uscita allo scoperto contro ogni rialzo dei tassi.

Un crescente coro di commentatori non è da meno. L’ex Segretario al Tesoro Larry Summers ha preso in mano la penna due volte in pochi giorni. E simili appelli sono scattati dalle pagine degli editoriali e dei commenti del New York Times come del già citato FT. Il Times ha denunciato la «stagnazione dei salari» quale segno che «l’economia non è in condizioni di piena occupazione e ha bisogno d’una politica accomodante, non restrittiva». Nella comunità finanziaria, l’Oracolo di Omaha Warren Buffett ha chiesto cautela affermando che, nei panni della Fed, non sarebbe «terribilmente aggressivo».

Soprattutto, a chiedere rinvii, sono i mercati: i future assegnano al momento ad una stretta imminente solo un terzo delle probabilità, rispetto al 50% del mese scorso. E su questa base Wall Street ha recuperato terreno. In parte - un aspetto sottolineato da Summers – gli investitori avrebbero oltretutto prevenuto la stessa Fed con le loro recenti correzioni: hanno limato in due settimane 700 miliardi di dollari dalla capitalizzazione di Borsa e aumentato gli spread nel credito, realizzando di fatto una mini-stretta nelle condizioni finanziarie.

Le voci a favore di una stretta ravvicinata restano influenti dentro la Fed: a suo favore si sono espressi ancora nelle ultime ore, in assenza di traumi esterni, sia il governatore della sede di Richmond Jeffrey Lacker che quello di San Francisco, John Williams. E la volontà della Banca centrale di avviare una graduale normalizzazione è indubbia. Al di là del desiderio di inviare un messaggio di fiducia sulla solidità della crescita e di esorcizzare bolle speculative, c’è una ragione prudenziale: con tassi a zero la Fed è a corto di armi per intervenire qualora dovessero davvero presentarsi nuove crisi. Proprio una maggior tenuta dei mercati, inoltre, potrebbe rimuovere l’eccessiva volatilità tra gli ostacoli a una manovra restrittiva.

I vertici della Fed potrebbero però trovare ragioni per aspettare anche nei recenti dati economici americani che tengono sotto osservazione. Il mercato del lavoro non ha convinto del tutto in agosto, con una creazione di posti di lavoro inferiore alle attese nonostante il tasso di disoccupazione sia sceso al 5,1%. E potrebbe essere presto per giudicare l’impatto della frenata dell’economia cinese, su crescita e mercati statunitensi oltre che globali.

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