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Soldati russi in Siria, mancano conferme. Ma le «voci»…

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Soldati russi in Siria, mancano conferme. Ma le «voci» allarmano Usa ed Israele

Ammutinati sulla via di Damasco. La Russia, dice il portavoce di Vladimir Putin Dmitrij Peskov, potrebbe prendere in considerazione l'idea di inviare truppe a combattere in Siria, se il presidente Bashar al-Assad lo chiedesse. Una possibilità “ipotetica”, tiene a precisare Peskov. Sono tanti gli analisti che tendono a escludere il desiderio del Cremlino di avventurarsi in un secondo Afghanistan. Eppure, secondo fonti militari e di intelligence riportate dal sito israeliano Debka, i russi in Siria ci sarebbero già, e già impegnati in combattimenti contro l'Isis, tra Homs e Aleppo. Mentre il russo Gazeta.ru aggiunge la testimonianza di un gruppo di soldati russi che soltanto al momento di partire, dal porto di Novorossiisk, hanno scoperto di essere stati destinati alla Siria, e non alla Crimea come pensavano. «Non vogliamo andare in Siria, non vogliamo morire laggiù», dice uno di loro, Aleksej.

La versione ufficiale, espressa dal ministro degli Esteri Serghej Lavrov, è che la presenza militare russa in Siria si ferma all'invio di armamenti e di specialisti in grado di gestirli e di addestrare le truppe di Assad. «Fino a questo momento non stiamo combattendo insieme alle forze russe - ha dichiarato all'agenzia Sana Wallid al-Muallem, ministro degli Esteri siriano -. Ma se dovessimo ritenere necessario un impegno comune, prenderemo in considerazione l'idea di chiederlo».

I russi a fianco dell'alleato Assad, in una rete tessuta insieme agli iraniani e agli sciiti libanesi di Hezbollah. Marines iraniani e russi starebbero già lavorando insieme. L'escalation complica oltre ogni immaginazione uno scenario che vede coinvolti nel dramma siriano – 250mila morti dal 2011 – troppi attori, ognuno con obiettivi diversi, anche se tutti proclamano a gran voce l'Isis nemico comune. Ma nei giorni scorsi, in un'intervista alla tv russa Assad ha continuato a usare il termine “terroristi” anche per i gruppi dell'opposizione sostenuti da americani ed europei, oltre che dai sauditi. Mentre, sull'altro fronte, gli Stati Uniti escludono categoricamente ogni scenario che preveda la permanenza al potere di Assad, come consiglia Putin. Per lui il presidente siriano è parte della soluzione contro l'Isis, per gli Usa è parte del problema.

I timori di Israele
Si cammina su un filo teso tra diplomazia e guerra. Preoccupatissimo dal rafforzamento delle posizioni russe nella roccaforte alawita di Assad, tra la base navale di Tartus e Latakia dove i russi (forse già 500) starebbero lavorando a una base operativa avanzata, il premier israeliano Benjamin Netanyahu volerà d'urgenza a Mosca lunedì prossimo. «Per chiarire la minaccia che il trasferimento di armi avanzate agli Hezbollah e ad altre organizzazioni terroristiche rappresenta per Israele», scrive il governo israeliano. A cui nello stesso tempo il sostegno russo ad Assad contro l'estremismo sunnita, a difesa dello status quo in Siria, non dispiace troppo.

Putin all'Onu
L'accelerazione delle mosse di Putin, che per non sbagliare ha anche inviato in Mediterraneo un sottomarino nucleare, ha scosso gli Stati Uniti, ancora indecisi se unire gli sforzi con i russi, o contrastarli. Per il momento, dicendosi disponibili a colloqui militari diretti con i russi, ammettono la loro presenza in campo accettando il primo passo, un coordinamento minimo per evitare incidenti nell'affollato spazio aereo siriano, tra una missione e l'altra. «Vogliamo evitare errori, vogliamo evitare problemi», dice il Pentagono in attesa di chiarirsi meglio le intenzioni russe, e nell'attesa degli incontri che a fine mese vedranno convergere i leader mondiali a New York, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tra loro Putin, che ha accuratamente preparato il proprio ritorno a New York dopo dieci anni: il plateale “buildup” militare in Siria consente al presidente russo di presentarsi all'Onu con parte dei propri obiettivi già centrati.

Il silenzio nel Donbass
Forse, i più importanti. Il riconoscimento di Barack Obama, dopo il gelo ucraino. Più di ogni cosa è questo che importa allo zar, ne ha bisogno per rilanciarsi a uso interno ed estero, districandosi dalla crisi economica, dall'isolamento delle sanzioni nato in Ucraina. Al di là di Assad, a Putin importa mantenere l'influenza russa sulla Siria, che passa ancora attraverso il regime alawita, per la proiezione internazionale che ne deriva. «È praticamente impossibile per gli Stati Uniti sconfiggere lo Stato Islamico senza la Russia», proclamano i siti diretti dal Cremlino come Sputnik. Nel disegno sembra rientrare anche l'Ucraina, improvvisamente silenziosa e lasciata in ombra dalle notizie siriane. I leader delle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk dicono che l'ordine da Mosca è evitare un'escalation e congelare un problema che comunque non offriva vie d'uscita vantaggiose. Il dramma, per il momento, si è spostato altrove.

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