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i numeri del made in germany

Perché l'auto tedesca è così importante per la Germania (e per l'Europa)

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Il dieselgate fa male alla Germania? Certo, molto male, vista la centralità delle quattro ruote nel sistema industriale tedesco. Ma la ragnatela di subforniture transnazionali e di interscambi commerciali europei conferma che anche il resto del Vecchio continente non ha molto da sorridere.

Qualche numero aiuta a capire meglio. Un’auto al mondo su cinque è tedesca. Una su dieci porta sulla carrozzeria uno dei marchi del gruppo Volkswagen (come Skoda, Seat, Audi, ma anche Lamborghini e Ducati per le moto).

L’automotive è la maggiore industria tedesca, con un fatturato di circa 384 miliardi di euro, pari a un quinto dell’intero manifatturiero nazionale (secondo i dati forniti dalla Vda, l’associazione industriale del settore auto tedesco).

Gli occupati nell’automotive sono 775mila, sparsi in 43 impianti produttivi. Le quattro e due ruote rappresentano il 20% delle esportazioni mondiali tedesche. Ma la Germania è anche il maggior produttore e utilizzatore europeo di auto: secondo i dati Acea, il 30% delle auto costruite nel Vecchio Continente è made in Germany (5,6 milioni di vetture), così come quasi il 20% delle immatricolazioni (3,04 milioni). Il 77% delle vetture costruite in Germania è destinato ai mercati esteri.

In Germania la spesa in Ricerca & Sviluppo del settore (17,6 miliardi di euro) è pari a un terzo del totale, e solo nel R&S auto lavorano qualcosa come 93mila addetti.
Delle 100 maggiori aziende mondiali di componentistica per auto, 21 sono tedesche.

Secondo i dati Forbes il Gruppo Volkswagen è il maggiore in Germania per ricavi (con Daimler al terzo posto e Bmw al settimo). Circa sette vetture del gruppo su dieci sono vendute all’estero. Volkswagen dà lavoro a 600mila addetti in tutto il mondo, e a più di un terzo di tutti gli addetti dell’automotive tedesco.

Il ruolo dell'Italia? Secondo la banca dati Made in The World di Wto-Oecd, arriva dal nostro Paese (generato da subfornitori tricolori) l’8% del valore aggiunto dell’industria dei trasporti tedeschi. Secondo una ricerca di qualche tempo fa del Centro Studi di Confindustria, scomponendo per Paesi l’attivazione totale dall’estero del valore aggiunto, si scopre che nel 2008 il primo mercato di sbocco del manifatturiero italiano era costituito proprio dalla Germania, per un totale di 13,4 miliardi di euro, seguito dalla Francia (12,6 miliardi) e dagli Stati Uniti (10,9 miliardi).

Per «attivazione totale dall’estero del valore aggiunto» si intende, per esempio, il caso della produzione in Italia di freni che - montati su un’automobile tedesca - vengono
acquistati in Francia: il valore aggiunto italiano è attivato dalla domanda finale francese tramite la produzione tedesca. Ciò è alla base del metodo di stima degli scambi in valore aggiunto, che parte dagli acquisti finali per poter ricostruire le catene di scambi intermedi. L’acquirente francese sceglie un prodotto tedesco, non italiano: se si rompe l’anello tra Francia e Germania, si annulla anche la creazione di valore aggiunto in Italia. Per questo lo scandalo che ha investito Volkswagen fa male al primo gruppo automobilistico del Vecchio continente, alla Germania, ma anche all’Europa intera.

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