Mondo

Patria, calcio e tasse: i tre duelli del voto in Catalogna

  • Abbonati
  • Accedi
ELEZIONI E INDIPENDENZA

Patria, calcio e tasse: i tre duelli del voto in Catalogna

Si vota oggi in Catalogna per rinnovare l’assemblea regionale ma i cinque milioni e mezzo di catalani chiamati alle urne dovranno soprattutto decidere se vogliono che la regione di Barcellona sia uno stato indipendente o se invece debba continuare a fare parte della Spagna. Di certo non sarà un voto come gli altri. E da domani la Catalogna non sarà più la stessa: forse più vicina all'indipendenza, forse solo più frustrata nelle sue aspirazioni patriottiche, forse ancora nell’Unione europea, forse confinata ai margini dell'economia continentale. Patria, calcio e tasse sono tre elementi determinanti per capire lo scontro in atto tra la Catalogna e la Spagna.

Catalogna nazione, l’identità culturale

I catalani, anche quelli moderati, considerano la Catalogna non una regione autonoma ma una nazione che conta sette milioni e mezzo di abitanti sui 47 totali della Spagna. Ma il nazionalismo catalano è lontanissimo dall’estremismo di destra presente in altri Paesi europei. Il catalanismo ha sempre lottato con forza contro la xenofobia e il razzismo, è stato segnato nel profondo dalla resistenza alla dittatura fascista di Franco. Rivendica in modo democratico e pacifico il diritto dei popoli a decidere il loro destino.
Anche per queste ragioni la scena politica catalana si differenzia da quella tradizionale e nazionale, muovendosi su tre dimensioni: indipendenza-statalismo, destra-sinistra, nuovo-vecchio.

La prima dimensione, per importanza e capacità di agitare il dibattito nella regione, si misura sull’indipendenza. Ogni partito che si presenti agli elettori deve chiarire la propria posizione nei rapporti tra Barcellona e Madrid: separatismo, federalismo, maggiore autonomia dentro la Spagna, regione nello Stato nazionale, sono le categorie non sempre facili da distinguere.
La seconda dimensione riguarda le tradizionali destra e sinistra, liberista o sociale, conservatrice e progressista.
La terza dimensione è cosa degli ultimi due anni. Anche in Catalogna i partiti tradizionali, quello popolare e quello socialista, sono incalzati da nuovi movimenti di protesta: Podemos e Ciudadanos che si battono contro la corruzione e il potere della casta.

In queste elezioni il fronte separatista, Junts pel Sì, è dato in vantaggio: secondo gli ultimi sondaggi potrebbe riuscire a conquistare la maggioranza dei 135 seggi nell’assemblea regionale ma difficilmente raggiungerà la maggioranza dei consensi. È guidato dall’attuale governatore, il conservatore Artur Mas, ma comprende anche la sinistra estrema repubblicana.
Il fronte del no all’indipendenza presenta posizioni diverse: i socialisti chiedono una riforma federalista del sistema Stato-regioni; Podemos è per una Spagna unita ma vuole che siano i catalani a decidere; Ciudadanos è nato proprio in Catalogna per opporsi alle spinte separatiste; mentre i popolari del premier Mariano Rajoy negano ogni possibilità che si arrivi davvero alla rottura.

Calcio e indipendenza

Il Barca per tutti in Catalogna è Mes que un club, molto più di una squadra di calcio. La rivalità sportiva tra Barcellona e Madrid ha segnato generazioni di catalani. Il clasico, la partita tra i bianchi del Real e il Barca, ha spesso rappresentato la rivincita dell’intera regione contro la capitale, un simbolo di indipendenza.

In questa campagna elettorale, molti famosi sportivi catalani si sono esposti personalmente a favore della secessione. Uno tra tutti, Pep Guardiola, capitano e allenatore che ha vinto tutto con il Barcelona Futbol Club. «Prima o poi succederà: saremo indipendenti da Madrid», ha ricordato nei giorni scorsi Guardiola, catalano di Sampedor.
Ma il fronte indipendentista ha dovuto contrastare anche le dichiarazioni del ministro dello Sport, Miguel Cardenal, secondo il quale «la secessione della Catalogna dalla Spagna escluderebbe il Barcellona dalla Liga nazionale».
«Possiamo fare a meno della Spagna senza problemi, siamo stati nazione prima della spagna e lo saremo anche dopo la Spagna. Ma toglierci il clasico è davvero una vigliaccata, si vede che a Madrid hanno paura di perdere, in politica e nel calcio», dice Guillermo, seduto dietro alla sua bancherella al Camp Nou, con l’esperienza di chi da trent’anni vende magliette e gadget azulgrana.

Al pari del calcio sono moltissimi i riferimenti e le tradizioni che i catalani mantengono vivi per marcare la differenza dal resto della Spagna. Simboli come la senyera, la bandiera gialla e rossa della regione, che non solo in questi giorni sventola da migliaia di finestre e balconi in tutte le città catalane.
E poi la lingua catalana: parlata da tutti, insegnata ai bambini nelle scuole, sopravvissuta a Franco, riconosciuta come idioma ufficiale in tutti gli atti pubblici e solo affiancata in Catalogna dal castigliano, lo spagnolo della Spagna.

Madrid ruba le nostre tasse

La Catalogna è la regione più ricca della Spagna. La sua economia vale 200 miliardi di euro, un quinto dell’intero Pil spagnolo. Ma è anche la regione con il debito più alto tra le 17 comunità autonome del Paese, circa 66 miliardi di euro. Una zavorra che la Generalitat ha sempre attribuito in gran parte alla dipendenza da Madrid. Nel sistema spagnolo, infatti, le regioni pur avendo larga autonomia di spesa e controllando servizi essenziali come la scuola e gli ospedali, vivono di trasferimenti statali.
La Catalogna riceve ogni anno circa 46 miliardi dal governo nazionale mentre i suoi cittadini pagano in totale oltre 62 miliardi di tasse: con una differenza di 16 miliardi che va a sommarsi alle rivendicazioni secessioniste.

Ma un’eventuale dichiarazione unilaterale di secessione da parte della regione potrebbe creare notevoli problemi all’economia catalana.
La Commissione europea ha più volte chiarito che la Catalogna indipendente sarebbe automaticamente esclusa dall’Unione europea e di conseguenza dall’Eurozona. Dovrebbe, in altre parole, ricominciare da capo, come uno Stato che chiede di entrare nella Ue, ma per farlo oltre al riconoscimento internazionale, già molto complicato, dovrebbe ricevere il via libera di tutti i Paesi già membri, Spagna inclusa.

Sono la Ue e l’euro a fare la differenza. «Con l’indipendenza avremo una migliore gestione delle finanze pubbliche, un welfare più vicino ai cittadini. Avremo, riassumendo, benefici permanenti a fronte di costi transitori che dipenderanno dalla reazione dello Stato spagnolo», e dallo status della Catalogna nella Ue, spiegano gli economisti catalani riuniti nel Collectiu Wilson.
Ma l’incertezza spaventa le imprese: alcune come Pronovias, Planeta, Freixenet, Almirall si sono dichiarate pronte a lasciare la regione se l’indipendenza verrà proclamata. Così come le due grandi banche catalane, Sabadell e CaixaBank che non potrebbero continuare la loro attività in una Catalogna fuori dalla Spagna, dall’Unione monetaria europea.

Da domani la Catalogna sarà diversa, comunque vada. Se vincerà l’indipendenza la Catalogna entrerà in una fase di profondi contrasti politici e istituzionali che nessuno ancora sa dove possano portare.
Ma anche se prevarrà il no all’indipendenza, è ormai chiaro che alla Spagna servirà una riforma dei rapporti tra Stato e regioni per rispondere alle rivendicazioni, autonomiste e democratiche, di milioni di cittadini catalani.

© Riproduzione riservata