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I segnali da cogliere per l’industria europea

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l’analisi

I segnali da cogliere per l’industria europea

La nuova fase della globalizzazione sorride al sistema industriale europeo. Partiamo da una considerazione tattica: la firma del Tpp - l’area di libero scambio del Pacifico, imperniata su Stati Uniti e Giappone, il 40% del Pil mondiale - è un formidabile propellente per l’accelerazione dei negoziati sul Ttip, l’asse di libero scambio fra Ue e Stati Uniti. Che, a sua volta, con il 50% del Pil mondiale e un terzo dei flussi commerciali globali è uno dei principali scenari di sviluppo di medio e lungo periodo per il tessuto produttivo europeo in generale e per quello italiano in particolare.

Ampliamo la prospettiva ad una valutazione strategica: la costruzione di due gigantesche aree di free trade - la «Region» omogenea del Pacifico, che da ieri è cosa sicura, e quella fra Ue e Usa, che da ieri è più probabile - potrebbe avere un impatto così profondo e pervasivo sugli equilibri geo-economici mondiali da spingere i Bric - Brasile, Russia, India e Cina - a ridurre a loro volta dazi e dogane, dando davvero vita a una nuova fase della globalizzazione, in cui le asimmetrie si ridurranno e i vantaggi competitivi verranno misurati su indicatori davvero virtuosi. E l’impatto dovrebbe risultare ancora maggiore, se si considera che l’Unione europea ha, dal canto suo, stretto autonomamente accordi a favore del libero scambio con una serie di realtà tutt'altro che irrilevanti come Canada e Singapore, Vietnam e Messico, con l’auspicio anche di una chiusura con il Giappone. Dunque, fra mercato e regolazione, istituzioni e politica, un altro tassello è andato al suo posto. Il mosaico di una globalizzazione a maggiore tasso di libero scambio si va gradualmente a comporre. E il tessuto economico europeo - anche quello italiano - non potrà che trarne benefici sostanziali. La firma del Trans-Pacific Partnership, fra gli Stati Uniti e gli undici Paesi dell’area, è il miglior viatico per gli sherpa impegnati nel Transatlantic Trade and Investment Partnership, il negoziato fra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Un accordo che, secondo l'“Impact Assessment Report on the Future of Eu-Us Trade Relations” della Commissione, per la Ue dovrebbe valere - da qui al 2027 - una crescita annua media del Pil dello 0,48% (86,4 miliardi di euro) e per gli Stati Uniti dello 0,39% (65 miliardi euro). L’export europeo verso gli Stati Uniti aumenterebbe del 28% (187 miliardi di euro) mentre quello americano del 36,5% (159 miliardi di euro).

Obama ha già ottenuto anche per il Ttip il fast track, la via rapida per chiudere l’accordo con un passaggio di ratifica finale al Congresso e al Senato, ma senza che i parlamentari possano proporre o votare emendamenti che ne alterino il contenuto. I negoziati sull’area del Pacifico sono partiti cinque anni fa. Quelli sull’asse Usa-Ue tre anni fa. È, quindi, naturale che il Tpp sia giunto al traguardo prima del Ttip. Cecilia Malmström, commissario europeo per il Commercio, per prima aveva preventivato che, in caso di chiusura del Tpp entro l’inizio di ottobre, una parte rilevante del Ttip avrebbe avuto buone possibilità di essere definito entro Natale. Vedremo se avrà ragione. L’ottimismo, però, sembra ben riposto. Prima di Natale dovranno avere luogo lo “scambio di offerte di liberalizzazione”: le controparti dovranno avere stabilito e comunicato le basi del loro pensiero sui quattro capitoli negoziali più importanti, ossia i beni, i servizi, gli appalti e gli investimenti. Finora, soltanto il capitolo dei servizi appare ben delineato. Il lavoro non mancherà. Il quadro politico, però, appare decisamente mutato. In meglio. L’auspicio, in un contesto su cui il giudizio non può che essere positivo, è che su alcuni particolari, che sono tutt’altro che irrilevanti, la voce europea faccia sentire agli interlocutori americani le sue ragioni. Un esempio su tutti: l’Unione europea, nei suoi accordi con Canada e Vietnam, ha stabilito e concordato indicazioni geografiche stringenti, in grado di garantire la provenienza di alcuni prodotti (in special modo nell’agroalimentare e nel tessile). Invece, nell’area di libero scambio del Pacifico queste indicazioni geografiche sono molto più lasche. Sarebbe utile che gli sherpa comunitari, su questo argomento, facessero passare un punto di vista che, nel rispetto del libero scambio, garantisca comunque il principio della conoscenza dell’origine dei manufatti e dei prodotti trasformati.

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