Mondo

Turchia, strage alla marcia della pace: cento morti

  • Abbonati
  • Accedi
ANKARA

Turchia, strage alla marcia della pace: cento morti

In un attentato con quasi 100 morti (97 ieri sera) e 400 feriti, il più sanguinoso degli ultimi decenni in Turchia, è stato colpito ieri ad Ankara il partito della pace e della convivenza, a venti giorni dalle elezioni anticipate del 1° novembre che ora appaiono più che mai uno spartiacque per un Paese in conflitto su due fronti: quello interno, con la guerriglia curda del Pkk nel sud-est, e quello esterno ai confini con la Siria, reso ancora più incandescente dopo l’intervento della Russia.

Nel tentativo di allentare la tensione il Pkk curdo ha dichiarato subito un cessate il fuoco unilaterale, decisione che era stata presa probabilmente ancora prima dell’attentato di ieri in vista della tornata elettorale. In Turchia la sequenza degli attentati, soprattutto contro i curdi, sta diventando impressionante. Il 20 luglio scorso 33 ragazzi curdi avevano perso la vita in un attentato sferrato da un kamikaze di soli 20 anni davanti al centro culturale Amana nella città turca di Suruc, a dieci chilometri da Kobane, in Siria. Il 5 giugno, alla vigilia delle elezioni, erano esplose due bombe con 5 morti a Diyarbakir prima di un comizio di Salahettin Demirtas, leader del Partito democratico del popolo (Hdp): l’opposizione filo-curda.

Manifestazioni di solidarietà per l’attentato sono arrivate dalla Casa Bianca, dalla Nato, dall’Unione europea e dall’Italia. «Il popolo turco e tutte le forze politiche devono stare unite contro i terroristi e contro tutti coloro che cercano di destabilizzare un Paese che sta affrontando molte minacce», hanno affermato l’Alto rappresentante per gli Affari europei, Federica Mogherini, e il commissario per l’Allargamento Johannes Hahn.

Due esplosioni in rapida successione, provocate da attentatori kamikaze secondo le autorità turche, hanno investito la stazione centrale di Ankara, dove prima delle 10 del mattino stava per iniziare una manifestazione pacifista per chiedere la fine del conflitto che le forze di sicurezza hanno ingaggiato contro i separatisti curdi del Pkk. Si attendevano ad Ankara migliaia di persone da tutto il Paese, a un meeting organizzato dai sindacati e da alcune Ong cui avevano aderito i deputati dell’Hdp e anche una delegazione del partito repubblicano Chp all’opposizione.

L’obiettivo era la tregua nell’Anatolia del sud-est, ma anche manifestare il dissenso per la politica del governo dell’Akp e del presidente Recep Tayyep Erdogan, che ha dato via libera alle forze di sicurezza per fare terra bruciata alla guerriglia in Anatolia orientale colpendo duramente anche le popolazioni civili. Al Governo l’opposizione contesta anche di non avere arginato un centinaio di assalti alle sedi dell’Hdp e le ondate di arresti nei confronti dei giornalisti non allineati. «Lo Stato è l’assassino», era scritto sugli striscioni portati da circa 10mila persone che, a sera, hanno protestato nel centro di Istanbul, come di altre città turche.

Ricordiamo che Erdogan, qualche giorno fa a Bruxelles, aveva attaccato come terroristi sia i curdi del Pkk che quelli siriani in lotta contro l’Isis e che in precedenza aveva proposto che i politici del partito filo-curdo Hdp collegati ai «gruppi terroristici» fossero spogliati della loro immunità parlamentare. Prese di posizione dettate dal fatto che l’ingresso dell’Hdp in Parlamento nel giugno scorso è costato all’Akp la perdita dopo 12 anni della maggioranza assoluta, risultato che si potrebbe ripetere in novembre condizionando la possibilità di formare un governo stabile. Secondo alcuni commentatori proprio il leader del partito Hdp, Salahettin Demirtas, sarebbe stato il vero bersaglio degli attentati.

Condannando quello che era stato subito definito da fonti del governo come un attacco terroristico, il presidente Erdogan ha assicurato che gli autori della strage saranno consegnati alla giustizia: «Qualunque sia l’origine - ha detto Erdogan - è necessario opporsi a tutti i terroristi».

Gli inquirenti stanno verificando le indicazioni secondo cui all’origine della strage sarebbero stati due kamikaze, ipotesi confermata dal governo che ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Le vittime sono per lo più manifestanti, tra i corpi, secondo le testimonianze, molti striscioni e bandiere, tra cui quelle dell’Hdp.

Il premier ad interim Ahmet Davutoglu, dichiarando che quello di ieri è stato un attacco alla democrazia, ha annunciato l’intenzione di incontrare i leader dei partiti di opposizione socialdemocratico Chp e nazionalista Mhp, ma non quello del l’Hdp: e anche questo è un segnale delle tensioni che oppongono l’Akp ai curdi. In pratica, questo governo che incassa afferma una cosa e ne fa un’altra di segno opposto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA