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In Africa cresce il Pil, ma è ancora emergenza fame

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GLOBAL HUNGER INDEX 2015

In Africa cresce il Pil, ma è ancora emergenza fame

Il 2015 doveva essere il simbolico punto d'arrivo per il primo “obiettivo di sviluppo del Millennio”: eliminare la povertà e la fame nel mondo, dimezzando la percentuale di chi vive con meno di 1,25 dollari al giorno. Questo l'impegno solennemente assunto nel settembre 2000 dall'Assemblea generale dell'Onu. Ma non tutti i paesi in via di sviluppo hanno tagliato il traguardo.

Secondo la Fao, il numero delle persone sottoalimentate nel mondo è sceso a 795 milioni, 216 milioni in meno rispetto al biennio 1990-92; notevoli progressi si sono registrati in Cina e in India, che hanno trainato l'Asia orientale e sud-orientale, bene anche l'America Latina. Stenta ancora l'Africa sub-sahariana, dove il 23,2% della popolazione - quasi una persona su quattro - è denutrita. Sembra un paradosso, ma la geografia della fame coesiste con una marcata crescita del Pil: il World Economic Outlook, che il Fondo monetario internazionale ha reso noto il 6 ottobre, per l'Africa sub-sahariana prevede infatti +3,8% quest'anno, +4,3% nel 2016 e +5,1% nel 2020.

All'Expo di Milano è stato presentato oggi l'Indice globale della fame 2015 (Global Hunger Index, in sigla Ghi), giunto al suo decimo anno ed elaborato dall'International Food Policy Research Institute (Ifpri) di Washington. L'edizione italiana è a cura del Cesvi di Bergamo. Il calcolo del Ghi si basa su quattro indicatori: percentuale di popolazione denutrita, percentuale di bambini fino a 5 anni sottopeso in rapporto all'altezza, percentuale di bambini affetti da ritardo nella crescita in rapporto all'età e tasso di mortalità infantile.

Quest'anno il rapporto Ifpri-Cesvi analizza 117 paesi e contiene dati e proiezioni dal 2010 al 2016, approfondendo in modo specifico il problema della denutrizione e le guerre. In effetti l'insicurezza alimentare si riscontra spesso nelle popolazioni coinvolte in conflitti armati o che da questi sono uscite recentemente. La guerra rappresenta anche una delle principali cause che spingono gli abitanti alla fuga.

L'indice globale della fame (Ghi) classifica i Paesi su una scala di 100 punti, dove lo zero rappresenta il valore migliore (assenza di fame) e 100 il peggiore, per quanto nella pratica nessuno dei due estremi venga mai raggiunto.
I valori compresi tra 20 e 34,9 indicano una fame grave, i valori tra 35 e 49,9 sono allarmanti e quelli dal 50 in poi sono estremamente allarmanti. La stragrande maggioranza dei paesi dove il livello della fame viene giudicato “grave” o “allarmante” si trova nell'Africa sub-sahariana.

La situazione peggiore, in base al Ghi 2015, è quella della Repubblica Centrafricana, afflitta da instabilità politica, dittature e colpi di Stato fin dalla sua indipendenza dalla Francia nel 1960. Negli ultimi tre anni le violenze e gli scontri hanno provocato un consistente numero di vittime e causato lo sfollamento interno del 20% della popolazione. Sempre nell'Africa sub-sahariana, a partire dal 2000 Ruanda, Angola ed Etiopia hanno invece registrato le maggiori diminuzioni della fame in termini assoluti, riducendo i propri punteggi di Ghi tra i 25 e i 28 punti. Nonostante questi miglioramenti, la mancanza di cibo è ancora grave.

Al di fuori del Continente nero, con livello di fame “allarmante” figurano tre paesi: Haiti, Afghanistan e Timor Est. Il rapporto Ifpri-Cesvi di quest'anno non ha potuto classificare un gruppo di paesi che nel 2014 presentavano livelli molto alti - Burundi, Comore, Eritrea, Repubblica democratica del Congo, Sud Sudan e Sudan - perché non erano disponibili i dati. Insufficienti anche i dati per la Libia e la Siria. La situazione di questi paesi desta però grande preoccupazione e non deve essere dimenticata.

Nel 2050 saremo in nove miliardi ad abitare il pianeta, quasi un terzo in più di oggi e per soddisfare la domanda di cibo avremmo bisogno di aumentare la produzione agricola del 70% rispetto a quella attuale. Come ha dichiarato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in un video-messaggio al Forum internazionale dell'agricoltura, che si è tenuto in giugno sempre all'Expo di Milano, la sfida della “Fame zero” può essere vinta. I nuovi obiettivi dello sviluppo (Sustainable Development Goals), approvati il 25 settembre durante la 70a Assemblea generale dell'Onu, puntano sul 2030 e sono la prosecuzione naturale di quelli del Millennio. La novità consiste nell'approccio sistemico, per favorire uno sviluppo sostenibile e coinvolgere tutti, non solo i governi, ma anche imprese, organizzazioni non governative e società civile.

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