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La tempesta perfetta che ha colpito Ankara

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analisi

La tempesta perfetta che ha colpito Ankara

La strage di sabato scorso di manifestanti pacifisti ad Ankara non è solo l'attentato con il maggior numero di morti nella storia della Turchia, ma rappresenta l'ultimo elemento di una crisi profonda di quella che rischia di diventare la “tempesta perfetta” su Ankara. A pesare sull'atteggiamento degli investitori stranieri sono vari elementi: gli squilibri macro (ampio disavanzo delle partite correnti che si allargano), i fattori di incertezza di politica interna che si aggravano (il Paese deve andare ad elezioni anticipate il 1° novembre dopo colloqui infruttuosi per un governo di coalizione in un clima dove ora si aggiungono attentati sanguinosi); il quadro geopolitico esterno (il riaccendersi della crisi siriana e il timore di esodi di nuove masse di profughi) e la scarsa propensione ad investire nei mercati emergenti a causa del possibile rialzo dei tassi della Federal Reserve.

Sono tutti fattori che pesano contro la Turchia e l'acquisto del suo debito sebbene il paese continui a crescere moderatamente e ad essere un'oasi di relativa stabilità in un area di crisi.

L'economia in crisi. L'economia segnala spie di preoccupante malessere. Un elemento per tutti. Sul Bosforo non c'è praticamente più mercato dei bond. Come è possibile? Le banche turche che hanno molti titoli in portafoglio non li vendono e se li tengono stretti nelle loro casseforti per non realizzare perdite, sperando in un recupero futuro. Intanto li usano come collaterali, cioè come garanzie solo per ottenere liquidità dalla banca centrale con operazioni a pronti contro termine. Fin qui tutto bene o almeno niente di strano.

A preoccupare però sono gli altri investitori, inclusi gli esteri, già “scottati”, che hanno deciso di restare fuori dal mercato. Una politica troppo prudente? Non proprio. Secondo molti analisti la cautela sul mercato delle obbligazioni turche è un atteggiamento sensato. Anche le agenzie di rating hanno lanciato l'allarme: «Le banche turche possono rallentare la loro crescita nel concedere prestiti nel 2015-16, dato che i finanziamenti in valuta estera diventeranno probabilmente più costosi» ha scritto Moody Investors Service in un rapporto pubblicato il 1° ottobre 2015.

La scarsità di liquidità del mercato si aggiunge alle ragioni per cui gli investitori sono prudenti verso un paese dove è riesplosa pesantemente la questione dell'autonomia curda, la prospettiva delle seconde elezioni in sei mesi e il rallentamento della crescita economica. Una situazione di incertezza che unita alla possibilità di un rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti, fattore comune a tutti i mercati emergenti come Brasile e Sud Africa, spingono gli investitori internazionali e fondi pensione a vendere il debito turco. «Gli investitori temono che potrebbero rimanere in qualche modo bloccati in possesso di debito turco, soprattutto alla luce dei segnali della banca centrale che potrebbe alzare i tassi di interesse in risposta alla normalizzazione della Federal Reserve», ha detto Phoenix Kalen, direttore dei dei mercati emergenti a Société Générale a Londra. Così gli investitori stranieri hanno venduto circa 5,5 miliardi di dollari di obbligazioni turche quest'anno, con i rendimenti del bond governativo a due anni saliti a 11,55 per cento.

La polarizzazione politica. Oltre alle incertezze economiche ci sono quelle politiche. A preoccupare è l'escalation di un processo di polarizzazione politica che ha spaccato la società turca quando invece di scegliere la via del dialogo si è scelto la via della dura repressione del movimento di protesta di Gezi Park. La società civile si è spaccata in due tra oppositori e sostenitori di Erdogan e non si è più riconciliata. Dopo due attentati suicidi che hanno colpito i manifestanti del partito pro-curdo del Partito Democratico Popolare (Hdp) nella piazza della stazione ferroviaria della capitale, la stazione da cui iniziavano sempre i viaggi ufficiali di Kemal Ataturk negli anni 20 e 30, il padre della Turchia moderna, la polizia ha assunto un atteggiamento ambiguo sparando gas lacrimogeni ad alcuni di quelli che correvano per aiutare i feriti. Un elemento che non mancherà di approfondire il solco all'interno della società turca.

Dopo le elezioni di giugno in cui il partito Giustizia e Sviluppo (Akp) ha perso la maggioranza, si è creato un clima di insicurezza che sta rendendo la Turchia ingovernabile e un posto insicuro. È stata infatti l'affermazione a sorpresa dell'Hdp, il partito filo-curdo di Selahattin Demirtas che con il 13% dei voti ha fatto perdere a giugno al partito islamico moderato Akp la maggioranza assoluta per la prima volta dal 2002. Da quel momento la tensione è cominciata a salire nel paese. Ci sono stati decine di attacchi contro giornalisti e giornali di opposizione, sedi dell'Hdp, tra cui una strage di giovani attivisti socialisti in un centro culturale curdo a Suruc nel mese di luglio, che si ritiene sia stata effettuata da simpatizzanti turchi dei jihadisti dell'Isis passati attraverso la porosa frontiera con la Siria di Assad.

Nessuno sa con certezza chi c'è dietro gli attacchi: si parla di Isis, di spezzoni deviati del cosiddetto “stato profondo”. Una cosa è certa: il presidente Recep Tayyip Erdogan, ha condannato gli attentati di Ankara, ma ha detto che non sono diversi da attacchi del Pkk contro i soldati turchi e poliziotti. Erdogan usa la teoria degli opposti estremisti, una trappola da cui, lui ritiene, solo il suo partito possa far uscire il paese dal tunnel. Riuscirà a convincere gli elettori?

Erdogan ha cercato di vincere le elezioni a giugno con una maggioranza dell'Akp sufficiente a trasformare la Turchia da un sistema parlamentare in un repubblica presidenziale alla francese. Quando gli elettori gli hanno negato questa aspirazione, ha tagliato i ponti, ha fatto fallire ogni ipotesi di coalizione e ha deciso di tornare alle urne anticipatamente. Obiettivo? Riguadagnare la maggioranza assoluta. Obiettivo legittimo in democrazia. Ma Erdogan ha accusato l'Hdp di essere complice del terrorismo, nel tentativo di spingere la coalizione filo-curdo sotto della soglia del 10% per impedirgli l'ingresso in parlamento. Così ha dato fuoco alle polveri e spaccato il Paese.

Il quadro geopolitico esterno. La Turchia oggi ha accettato, dopo forti pressioni americane, di attaccare come membro della Nato, l'Isis in Siria, ma in passato ha assunto atteggiamenti ambigui che privilegiavano l'attacco al presidente siriano Assad rispetto ad altri obiettivi sul terreno. Ora, però, sembra che Ankara privilegi e abbia come obiettivo primario la lotta ai curdi del Pkk, un elemento che stona con le indicazioni della Nato che finora ha visto i curdi, nelle varie sigle che li rappresentano, come uno dei pochi elementi sul terreno a contrastare le milizie dell'Isis. Una contraddizione che prima o poi dovrà essere sciolta dal governo turco, che per ora comunque ha accolto la richiesta europea di aprire nuovi centri di accoglienza per i 2 milioni di profughi siriani nel suo territorio anche grazie a finanziamenti Ue.

La Turchia affronta però troppe minacce contemporaneamente. Mig russi sono entrati nello spazio aereo turco. L'Isis è ai suoi confini meridionali e orientali. La guerra con i curdi ha riacceso un conflitto sanguinoso con il Pkk. I servizi di sicurezza e la magistratura sono stati oggetto di purghe pesanti a caccia di sostenitori dei seguaci del predicatore islamico Fetullah Gulen, prima amico di Erdogan e ora suo principale oppositore. Cosa faranno gli elettori a novembre? Magari emergerà la volontà di avere un governo di coalizione e la Turchia, fondamentale alleato della Nato, cadrà nello stallo politico e rischia la tempesta perfetta, cioè di diventare ingovernabile.

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