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La Turchia torna alle urne, ecco le incognite che pesano sul voto di domani

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domenica

La Turchia torna alle urne, ecco le incognite che pesano sul voto di domani

  • –dal nostro inviato Alberto Negri

ISTANBUL- Una mano alla campagna elettorale di Erdogan l'Europa l'ha già data: «È stata la visita del cancelliere tedesco Angela Merkel a frenare la caduta della lira turca, che in un anno aveva perso quasi il 30% del valore», dice il rappresentante di una Banca centrale occidentale di stanza sul Bosforo. Ma forse questo non basterà al partito islamico Akp a riguadagnare la maggioranza assoluta persa dopo 13 anni alle elezioni del 7 giugno scorso: il voto anticipato di domani è anche qualche cosa di più di un referendum su Tayyp Erdogan, è una scelta che spacca nettamente l'elettorato tra la deriva autoritaria imboccata dal presidente turco e chi propone un'alternativa ai suoi metodi in un Paese intimorito da spaventosi attentati terroristici, immerso nella deriva geopolitica della guerra in Siria e ancora diviso sulla questione curda e la ripresa di un devastante conflitto interno che dura da decenni.

La situazione del dopo-voto, secondo i sondaggi, sarà probabilmente la replica dello stallo di questi mesi: se si ripetono i risultati di giugno sarà necessario formare un governo di coalizione tra il partito che prende la maggioranza, l'Akp, e qualcuno degli altri concorrenti, il partito repubblicano Chp, erede della tradizione kemalista, la destra nazionalista dell'Mhp e il partito filo-curdo Hdp, che la volta scorsa entrando in Parlamento ha affossato i piani di Erdogan di cambiare la costituzione in senso presidenziale. Le previsioni indicano che pochi elettori hanno cambiato idea. L'Akp, guidato dal premier Ahmet Davutoglu è accreditato tra il 39 e il 43%, il socialdemocratico Chp di Kemal Kilicdaroglu è stimato al 25-28% e il nazionalista Mhp di Devlet Bahceli al 13-15%, mentre l'Hdp di Salahettin Demirtas dovrebbe riconfermarsi tra il 12 e il 13 per cento, sempre che in Kurdistan non si verifichino gravi irregolarità elettorali.

In questi cinque mesi la Turchia ha vissuto un'escalation di violenza e tensioni come non accadeva da vent'anni. Prima la strage di Suruc, con 33 attivisti filo-curdi uccisi da un kamikaze dell'Isis. Poi l'esplosione del nuovo conflitto con il Pkk curdo, con oltre 150 soldati e duemila guerriglieri morti e il Sud-est del Paese in stato d'assedio tra bombe e coprifuoco. Fino alla strage di Ankara del 10 ottobre con oltre 100 morti, il più sanguinoso attentato terroristico della storia turca ad appena 20 giorni dal voto. Tutto questo mentre l'Europa guardava allarmata a un Paese trasformato nel crocevia del più grande afflusso di profughi dalla seconda guerra mondiale.

Sul voto peserà l'incognita della sicurezza nell'Anatolia nel Sud-est, il Kurdistan turco, mentre negli ultimi giorni è arrivata anche l'ennesima stretta alla stampa di opposizione, con tv e giornali ostili a Erdogan e legati al suo ex alleato _ l'Imam Fethullah Gulen in auto-esilio negli Stati Uniti _ censurati e commissariati. Nelle urne resta forte anche l'allarme brogli: il voto si gioca sul filo di lana in molti distretti, quasi la metà, dove a giugno i seggi sono stati assegnati con margini esigui che vanno dallo 0,1% al 3 per cento. Leggere variazioni possono decidere le sorti politiche dell'intero Paese.

Ma in gioco oltre al destino della Turchia, tenuta da anni nell'anticamera di Bruxelles, c'è anche quello del Medio Oriente e dell'Europa. La Turchia, membro della Nato da oltre 60 anni, è un Paese chiave per tentare quel compromesso sulla Siria che la comunità internazionale ha cominciato a profilare con al vertice di Vienna di venerdì. Perché qui in Turchia è entrato in crisi profonda proprio il modello di democrazia musulmana che Erdogan voleva proporre al mondo islamico e la sua politica estera e interna invece di contribuire a pacificare la regione l'ha destabilizzata. Svaniti gli ambiziosi progetti neo-ottomani, la Turchia rappresenta oggi un altro Paese “malato” del Levante.

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