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Dalla partita Ue sulla flessibilità altri margini di crescita

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L'ANALISI

Dalla partita Ue sulla flessibilità altri margini di crescita

Prima l'aggiornamento delle stime macroeconomiche, ferme allo scorso 5 maggio, atteso per giovedì, poi il giudizio vero e proprio sull'intera legge di stabilità, in arrivo attorno al 23 novembre con una riunione straordinaria dell'Eurogruppo che si esprimerà sulla base del documento della Commissione Ue pronto per il 18 o il 19 novembre.
In contemporanea con l'avvio dell'esame parlamentare della manovra, si va definendo il calendario europeo. Tra Palazzo Chigi e il ministero dell'Economia si respira un certo ottimismo: la linea del presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, è che all'Italia potrà essere concessa in toto la flessibilità richiesta. Allo 0,4% già autorizzato in maggio (6,5 miliardi) si aggiungerà sia l'ulteriore 0,1% (1,6 miliardi) della clausola di flessibilità sulle riforme, sia lo 0,3% (4,8 miliardi) della clausola sugli investimenti.

Non sono escluse limature per effetto del dibattito che vi sarà tra i ministri, ma al momento nel carnet rientrano anche i 3,3 miliardi della clausola migranti. Il totale complessivo a beneficio dei conti del 2016 sale così a oltre 16 miliardi. Uno “sconto” non da poco, che il Governo utilizza con la legge di stabilità facendo lievitare il deficit dall'1,8% programmato in settembre al 2,4% del Pil.
Se tutto procederà secondo lo schema auspicato dal governo, la manovra “espansiva” per il prossimo anno potrà giovarsi anche dell'anticipo del taglio dell'Ires, che è subordinato proprio al via libera da parte di Bruxelles alla clausola migranti. Benzina preziosa nel motore di una manovra che scommette sulla crescita, e su un incremento del Pil nei dintorni dell'1,6 per cento, a patto che lo schema delle coperture faticosamente inserito nel testo uscito da Palazzo Chigi regga alla prova dell'esame parlamentare.

In primo luogo la spesa pubblica, che tra tagli strutturali (spending review per 5,9 miliardi) e ulteriori efficientamenti vale 7,9 miliardi, e la cui dote dovrà necessariamente crescere nel 2017 per disinnescare le clausole di salvaguardia neutralizzate per ora solo nel 2016 per un importo pari a 16,8 miliardi (ne restano altre per oltre 33 miliardi di cui 13,9 nel 2017 e 19,3 miliardi nel 2018) e finanziare gli ulteriori tagli alle tasse già programmati (Ires e Irepf).
Per ora si registra una spending non all'altezza delle aspettative, che peraltro dovrà forse essere ricalibrata, se hanno ragione i tecnici di Camera e Senato laddove rilevano come il risparmio effettivo chiesto alle sole Regioni nel triennio 2017-2019 ammonti a ben 17 miliardi. L'invito è a valutare «l'effettiva praticabilità della misura».

Bruxelles non entrerà probabilmente così nel dettaglio, anche se vi è da attendersi un rinnovato invito a mettere in atto più consistenti tagli strutturali alla spesa, così da garantire piena sostenibilità all'intero quadro di finanza pubblica.
Invito che si estenderà anche al puntuale rispetto della «regola del debito», fondamentale nel momento in cui si chiede alla Commissione e ai partner europei il rinvio al 2018 del pareggio di bilancio. Da questo punto di vista, negli incontri bilaterali che il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, avrà a ridosso e durante i prossimi appuntamenti europei, la rassicurazione dovrà essere sostenuta da un impegno cogente a ridurre un debito che viaggia attualmente al 132,3% del Pil.

Si farà valere l'incasso di 3,4 miliardi atteso dalla parziale privatizzazione delle Poste, per centrare nell'anno in corso l'obiettivo dello 0,4% del Pil (6-7 miliardi), comprensivo del rimborso integrale dei “Monti-bond” da parte di Mps, la cui restituzione era stata prevista inizialmente sotto forma di pagamento rateizzato nel 2015-2017. Per il triennio 2016-2018, il totale degli introiti da dismissioni si attesta all'1,5% del Pil (circa 25 miliardi). Passaggio decisivo per rispettare la regola del debito sarà l'avanzo primario indicato nei documenti programmatici del Governo in media al 3% nel periodo 2015-2019, ma soprattutto la crescita, così da ridurre il debito al 119,8% nel 2019, a patto che l'inflazione si attesti nei dintorni del
2 per cento.

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