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Erdogan pigliatutto, vuole decidere anche il livello dei tassi

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TURCHIA DOPO IL VOTO

Erdogan pigliatutto, vuole decidere anche il livello dei tassi

Il partito AKP e il suo leader indiscusso Recep Tayyip Erdogan, che ha stravinto le elezioni con il 49% dei voti e 317 deputati complessivi (ma per modificare la Costituzione turca in senso presidenzialista sarebbero necessari 330 seggi) ha intenzione di modificare anche la struttura della banca centrale. In sostanza Erdogan vuole determinare la politica monetaria,decidere quante lire stampare, riducendo la sfera di autonomia della banca centrale sul Bosforo. In particolare l'Akp vorrebbe modificare la norma che regolamenta il comitato di politica monetaria. La mossa, passata quasi inosservata agli osservatori del paese sul Bosforo, è stata anticipata da un giornale pro governativo Sabah, organo di stampa solitamente molto ben informato che però non ha citato nessuna fonte in particolare. Forse un tentativo di saggiare la reazione dei mercati in modo indiretto.

La pressione da parte dei politici turchi, Recep Tayyip Erdogan in primis quando era primo ministro, di mantenere i tassi di interesse bassi e minare l'autonomia dell'istituto centrale ha contribuito non poco a indebolire la lira, che è scesa a 2,84 contro dollaro perdendo già parte dei guadagni di lunedì accolti con troppo trionfalismo dai mercati.

“La lira si è rafforzata lunedì troppo velocemente dopo i risultati delle elezioni e qualche tipo di bilanciamento nella lira era prevedibile”, ha commentato Burcin Metin, responsabile del trading di valuta presso ING Bank a Istanbul. “Ma la storia sui possibili piani dell'Akp per cambiare la struttura della banca centrale ha accelerato il movimento di bilanciamento della valuta locale”.

Anche il rendimento sul debito a 10 anni della Turchia è aumentato di 12 punti base al 9,51 per cento. La Borsa 100 è sceso dello 0,3 per cento, guidato dalla Haci Omer Sabanci Holding, uno dei maggiori conglomerati del Paese. In realtà ci sono ancora molte perplessità sulla linea economica che il nuovo governo prenderà: la Turchia è a un bivio tra politiche riformiste e politiche populiste che farebbero deragliare la crescita del Paese molto esposto ai venti degli investimenti internazionali a causa di un deficit delle partite correnti.

In realtà, il FMI ha suggerito alla Turchia di alzare ulteriormente i tassi con l'obiettivo di ridurre gli squilibri interno ed esterno e incentivare l'afflusso di capitali necessario a finanziare il consistente fabbisogno esterno. Se non aumenta la propensione al rischio a livello internazionale, sembra una ricetta che non ha alternative.

La limitata sofisticazione nelle produzioni domestiche (il 75% delle esportazioni riguarda prodotti agricoli e manifatturieri a medio e basso contenuto tecnologico, come auto e elettronica al consumo) e il basso tasso di risparmio domestico hanno determinato ampi deficit di parte corrente (mediamente pari al 5,9% del PIL nell'ultimo decennio). Queste condizioni rendono l'economia che quest'anno dovrebbe crescere del 3% e la valuta della Turchia particolarmente vulnerabili a variazioni delle condizioni di liquidità e della propensione al rischio sul mercato internazionale dei capitali. Ma tutto questo a Erdogan non interessa perché punta a tassi bassi e valuta debole. Se poi i capitali internazionali senza renumerazione dovessero scappare allora si evocherebbe il complotto internazionale, come già fatto in occasione della crisi di Gezi Park.

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