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Vatileaks, l’ombra lunga dei complotti che minaccia il rinnovamento

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IL NUOVO SCANDALO

Vatileaks, l’ombra lunga dei complotti che minaccia il rinnovamento

È la stessa cella, nel palazzo della Gendarmeria dove fu recluso un altro illustre “corvo” della storia del Vaticano. E il reato imputato è lo stesso: furto di documenti. Vatileaks, l'incubo del precedente pontificato stende la sua ombra sinistra anche su quello di Francesco.

E in quella camera di sicurezza da due giorni si trova il monsignore spagnolo Vallejo Balda, già potente delle finanze vaticane, profondo conoscitore del mondo bancario e industriale, accusato dello stesso reato che vide il maggiordomo di Ratzinger, Paolo Gabriele, minare le basi stesse del papato e contribuire alla sua storica rinuncia, un atto passato alla storia. Nuovo scandalo dai contorni nebulosi, dalle possibili complicità ancora nascoste, dalla portata effettiva ignota. Ma la storia sembra la stessa che ormai faceva parte dell'immaginario di quanto accadde Oltretevere e che ora esplode di nuovo.

Un nastro che si riavvolge e sembra che attorno a Francesco tornino a volare davvero i “corvi”, come si verificò con una drammatica rappresentazione plastica sotto i suoi occhi quella fredda domenica mattina del gennaio 2014 in piazza San Pietro, quando una colomba da lui liberata divenne dopo pochi attimi vittima di un rapace. È stato ribattezzato fin troppo facilmente Vatileaks-2 il nuovo scandalo che ha fatto scattare di nuovo le manette dentro le mura, come accadde tre anni fa e poi ancora nel 2014 per l'ex nunzio apostolico a Santo Domingo accusato di tremendi reati di pedofilia. Oggetto dell'indagine oltre al prelato una giovanissima consulente italiana di pubbliche relazioni che al monsignore vicino all'Opus Dei era strettamente legata da tempo. Due persone che frequentavano il mondo delle pr e della finanza, organizzavano eventi mondani un po' da generone romano (censurati direttamente dal Papa) ed erano con tutta evidenza al centro di un reticolo di interessi che poi è rapidamente evaporato, il tutto condito con una sovraesposizione mediatica esplosa addirittura con alcuni tweet dove si parlava di malattie gravi del pontefice, poi ricusati.

Il copione si ripete: la Gendarmeria arresta, il promotore di giustizia indaga, un processo sarà celebrato con le accuse di trafugamento di documenti riservati, e in qualche modo quindi un atto di alto tradimento verso il Papa, a cui i due arrestati (anche se la donna è tornata in libertà) hanno giurato fedeltà e professato in pubblico sostegno convinto. I fatti devono essere accertati, e quindi ci sarà un procedimento e ulteriori indagini, ma sono molti gli aspetti oscuri di una vicenda che sta scuotendo il Vaticano dalle fondamenta, non tanto per la sorpresa (da tempo c'erano sospetti sulla diffusione di documenti da parte di almeno uno dei due) quanto per la decisione giudiziaria impressa dalla Segreteria di Stato e approvata personalmente dal Papa, che di Vatileaks-1 ha una conoscenza indiretta e in buona parte appresa direttamente da Benedetto XVI e dai famosi documenti consegnatigli nella grande cassa bianca a Castel Gandolfo.

Già, perché il tema al centro del caso sono dossier della Santa Sede su soldi e affari, ma lo spaccato che emerge dal nuovo affaire è quello di un pezzo di Curia e di alte gerarchie che stanno più o meno silenziosamente cercando di sabotare il percorso di Bergoglio, e usano mezzi efficaci e figli dei tempi. All'epoca dei Borgia si utilizzavano altre armi, oggi si gioca di sponda con i media, che sulle mura leonine hanno costantemente i fari accesi. C'è un filo rosso che lega lo scandalo di ieri, con conseguenze che si vedranno nei mesi a venire, con quanto accaduto durante il Sinodo della famiglia, segnato dal falsi scoop sul tumore al cervello di Francesco (notizia da tutti smentita e in assenza di prove), della lettera vera da parte di 13 cardinali che avanzavano dubbi addirittura sulla legittimità della scelte del Papa – alcuni dei quali dei capi dicastero – o della sparata del monsignore gay, che addirittura lavorava all'ex Sant'Uffizio, tanto per inquadrarne il ruolo, che ha fatto coming out con un tempismo da esperto di marketing. Mezzi impropri, denunciati con coraggio dallo stesso Bergoglio, che hanno inquinato i pozzi vaticani e hanno contribuito a creare attorno al papa gesuita un clima di accerchiamento di palazzo che non risponde per nulla alla sua reale presa sui fedeli. Che dalla commissione di riforma degli enti fossero usciti dei documenti era cosa nota, e andava avanti da tempo. Nulla di strano, accade da sempre che dalle mura, permeabili più di quanto si pensi, filtrino indiscrezioni, anche in questo pontificato. Ma il caso in questione appare come un piano sistematico, che fa fare alla vicenda un salto di qualità e getta dubbi su eventuali reti di complicità che trovano brodo di coltura tra gli stessi strati ecclesiastici che giudicano con molta severità la pastorale del Papa.

Una concatenazione di eventi rende Vatileaks-2 potenzialmente più dirompente del primo. Con Benedetto XVI già visibilmente debole, di fatto lo scandalo del maggiordomo era o è sembrata essere la punta emersa di una guerra tra i vertici della Santa Sede che si combatteva in vista di un non lontano termine del papato, oltre che per il controllo delle finanze (e infatti risale a quei giorni anche la crisi dello Ior con il licenziamento del presidente). In questo caso invece c'è un pontefice non giovane ma forte, in salute e pienamente alla guida della Chiesa, che sta indirizzando su una via della “conversione”. Insomma, un attacco con finalità che non paiono troppo celate. E il rischio più alto forse arriva proprio da chi si professa in modo plateale un ultrà del nuovo corso e poi ne mette in luce i mancati risultati, o in nome della misericordia genera le condizioni affinché si creino centri di potere che sfuggono al controllo del Papa. C'è un complotto all'ombra di San Pietro? Non è forzato pensare che ci siano delle mani che tirano le fila: anche la scoperta della violazione del computer del Revisore generale dei conti è storia di qualche giorno fa, e non lascia dubbi che le due vicende possano essere in qualche modo collegate. Ora si parla di registrazioni fatte di nascosto durante le riunioni: non c'è quindi solo un passaggio di carta da parte di chi - se le accuse fossero provate - è stato estromesso da incarichi successivi, ma un disegno preventivo, studiato a tavolino. Del resto da tempo la Gendarmeria stava acquisendo materiale sensibile ed effettuava intercettazioni, sulla scorta di sospetti fondati. Se l'opposizione fa parte del gioco in questo caso il gioco si è fatto duro e il Papa ha imposto mano ferma, non per difendere il suo potere, ma la sua Chiesa.

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