Un monito è arrivato anche dalle ultime stime della Commissione europea: l’Irlanda cresce più di tutti (6% quest’anno), ma il quadro potrebbe cambiare con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Il calcolo dettagliato dei costi di questa eventualità è stato però effettuato dall’Esri (Economic and Social Research Institute), un think-tank di ricerca socioeconomica basato a Dublino. E la sintesi sarà probabilmente il cuore del messaggio del premier irlandese alla Confindustria britannica lunedì: Brexit è una vera e propria minaccia per la ritrovata Tigre celtica.
Il perché è spiegato nelle 74 pagine dello studio dell’Esri, che mettono a fuoco soprattutto tre settori particolarmente influenzati dall’eventuale uscita britannica: commercio, investimenti e immigrazione.
Interscambio ridotto di un quinto
Gli scambi commerciali tra Irlanda e Gran Bretagna ammontano oggi a un miliardo alla settimana, circa 50 miliardi all’anno. L’Esri calcola che Brexit li ridurrebbe di un quinto, 10 miliardi in un anno, prima di tutto a causa della reintroduzione di barriere tariffarie tra due Paesi oggi parte di un unico mercato: basti pensare che i dazi sulle importazioni per i prodotti extra-Ue nel 2013 erano in media pari al 5,2 per cento. Ad essere penalizzate sarebbero in prima battuta le piccole imprese irlandesi del settore agroalimentare.
Le ripercussioni sugli investimenti Oltremanica
Londra fuori dall’Unione europea perderebbe parte della sua attrattività per gli investitori esteri, che premiano anche l’appartenenza al mercato unico europeo, con il risultato di un probabile indebolimento della crescita britannica e conseguenti ricadute negative anche su quella irlandese, che le è strettamente legata: non a caso in questi mesi di ripresa stagnante o asfittica nell’Eurozona Dublino ha beneficiato delle migliori performance di Londra. D’altra parte, un calo degli investimenti diretti esteri in Gran Bretagna non si tradurrebbe in un una maggiore attrattività di Dublino, perché gli investitori internazionali tenderebbero a rimpiazzare Londra con mercati più grandi, come Germania, Francia e Polonia.
Immigrazione e salari
Il ripristino di restrizioni nella libertà di spostarsi per lavoro in una Gran Bretagna fuori dalla Ue bloccherebbe molti immigrati irlandesi che oggi trovano impiego nel Regno Unito; d’altra parte Brexit toglierebbe appeal alla Gran Bretagna anche come meta dei flussi migratori verso la Ue, dirottandone presumibilmente una parte verso l’Irlanda. L’Esri ha effettuato una simulazione da cui risulta che, aggiungendo 60mila persone alla forza lavoro attuale, il tasso di disoccupazione irlandese aumenterebbe dello 0,4% e i salari calerebbero del 4-5%, a seconda del livello.
La campagna politica
Tutte queste considerazioni spiegano perché il Governo irlandese, che non si era espresso durante il referendum sull’indipendenza scozzese, abbia invece intrapreso da mesi una campagna per scongiurare Brexit. Sostenuto anche dagli imprenditori. «Mentre la permanenza di Londra nella Ue è preferita dalla stragrande maggioranza delle imprese irlandesi – ha dichiarato Mary Rose Burke dell’Ibec, la principale organizzazione imprenditoriale – un’uscita della Gran Bretagna determinerebbe un’ampia gamma di possibili conseguenze, alcune potenzialmente molto negative per la nostra economia».
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