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L'Isis (purtroppo) canta vittoria comunque

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L'ANALISI

L'Isis (purtroppo) canta vittoria comunque

  • –di UgoTramballi

Riusciremo a sconfiggere e debellare l'Isis? È la domanda che sottilmente angoscia le opinioni pubbliche del mondo civile. La risposta è forse no, se chi dovrebbe fare questa guerra e vincerla litiga nell'accertamento delle cause di un disastro aereo: incidente contro attentato. Il califfo e i suoi accoliti del Sinai non avrebbero potuto sperare di meglio: dal loro punto di vista sarà un successo, qualsiasi cosa diranno i tecnici.

I primi a dare con convinzione una versione dei fatti sono stati gli amministratori della compagnia aerea siberiana alla quale apparteneva l'Airbus precipitato: la causa era esterna, una bomba o un missile, perché l'aereo era in perfette condizioni e i piloti esperti. Non fosse così, la compagnia dovrebbe pagare danni per milioni. Ma questo non c'entra con la geopolitica mediorientale. Vi ha più attinenza il satellite spia americano nello spazio sopra il Sinai, che avrebbe rilevato un lampo, prova di un'esplosione. Sono seguite le dichiarazioni di David Cameron: l'attentato, probabilmente un ordigno a bordo, sembra sempre più evidente; e un crescente numero di compagnie occidentali decide di non volare più sul Sinai né di atterrare a Sharm el-Sheikh, ultimo fortino del turismo egiziano che ancora resisteva alle minacce della regione.

Al fronte della pista terroristica si oppone quello sempre più convinto del guasto tecnico o dell'errore umano: egiziani e russi. Di più: Abdel Fattah al-Sisi e Vladimir Vladimirovich Putin, i presidenti di due sistemi politici molto simili, nei quali comandano loro e nessun altro, e la cui parola non può essere messa in discussione. Anche l'eventuale spiegazione politica di questa determinazione è comune: al-Sisi sta cercando di dare dell'Egitto un'immagine di sicurezza e di crescita economica; Putin non vuole che il suo intervento in Siria abbia già 224 caduti russi, molti dei quali donne e bambini.
Sovente il caso sa essere sgradevole: proprio ieri il presidente egiziano compiva la sua prima visita ufficiale a Londra. La data era stata fissata in epoca non sospetta ma quale fosse l'agenda degli incontri, la tragedia del Sinai se ne è impadronita, raffreddando relazioni già non calorose. La Gran Bretagna e la Germania (non l'Italia e la Francia) non hanno mai smesso di criticare la repressione del governo egiziano verso gli oppositori e soprattutto i Fratelli musulmani. Rilasciando alla Bbc un'intervista prima della visita, al-Sisi aveva rimproverato l'Occidente di non capire che l'Egitto è sotto attacco e che contro il terrorismo bisogna usare ogni mezzo disponibile perché è una lotta di vita o di morte. Lo aveva già detto Anwar Sadat una quarantina d'anni fa.
Così, quando il deputato della Duma Konstantin Kosachev afferma che le convinzioni inglesi sulla tragedia aerea «sono politicamente motivate dalla loro opposizione alle azioni russe in Siria», alla fine hanno perso tutti, a cominciare dalla verità dei fatti. È di relativa importanza scoprire chi abbia ragione, se sia stato incidente o attentato terroristico. Anche senza muovere un dito, l'Isis porta a casa un successo, dividendo il fronte dei suoi nemici.

Il disastro aereo in qualche modo rafforza una tendenza geopolitica in Medio Oriente, le similitudini crescenti dei regimi e la coincidenza d'interessi fra Egitto e Russia. Acquistando dalla Francia le due grandi porta elicotteri della Classe Mistral, che prima della crisi ucraina e delle sanzioni dovevano andare alla Marina di Mosca, l'Egitto ha chiesto che venissero lasciati tutti gli equipaggiamenti e i sistemi d'arma russi che erano già stati montati. Dunque, al Sisi dovrà comprare da Putin e non dagli americani gli elicotteri, le armi, i mezzi e tutto il materiale necessario per far navigare e rendere temibili le due navi.

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