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35 anni dopo, viaggio nel Giappone dell' «Eleganza frigida»…

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PIANETA GIAPPONE

35 anni dopo, viaggio nel Giappone dell' «Eleganza frigida» di Parise

Ne son cambiate di cose dall'autunno del 1980 a quello del 2015, da quando Goffredo Parise fece il suo primo viaggio in Giappone e io il mio: il Corriere della Sera che lo inviò qui ha un ruolo meno rilevante, la diplomazia anche, la letteratura pure. Nell'80, il “Paese della Politica,” cioè l'Italia, era ancora segretamente corrotto; c'era la Guerra Fredda; uno scrittore contava di più; e anche un giornalista.

Quando Parise arrivò a Tokyo, il Giappone era un Paese che «stava per accadere». Era all'inizio di un ciclo storico propulsivo. Ora è un Paese che sembra «già accaduto». O forse una promessa ancora non mantenuta. Il Giappone s'illuminava nell'alba di un'era. Ora sembra sbiadire assieme al lungo tramonto dell'Occidente. I giapponesi erano invidiati, ora mi sembrano compatiti, con quei cinesi e coreani lì vicino che spingono, gli tsunami, i vulcani, i terremoti e le catastrofi nucleari.

Il viaggio di Parise viene spesso criticato. Non fu preciso, dicono gli iamatologi. Ha travisato alcune cose, ammise lo stesso ambasciatore Boris Biancheri che l'ospitò e a cui il libro che raccoglie i reportage è dedicato. L'errore è invece di pretendere che un intellettuale sia un reporter. La manifestazione della realtà, giapponese o italiana che sia, è uno specchio per un racconto interiore nel quale trovare un archetipo universale. Nel suo “L'eleganza è frigida” Parise non ci descrive il Giappone. Ci racconta la sua passione per il Giappone. Parla di sé stesso. Ovvero dell'Uomo. Proprio come Giorgio Manganelli ne “L'esperimento con l'India,” o Moravia e Pasolini nei loro viaggi esotici.

A proposito della mentalità giapponese, a pagina 60 dell'edizione Adelphi, Parise scrisse: “Inutile analizzare, pasticciare, rimediare mediante l'analisi. La sublime sintesi è un regalo del caso, è l'armonia che ci deve essere.” Questo libro va letto così, alla giapponese, lasciandosi assorbire dalle descrizioni del pathos delle cose, l'impermanenza delle vita e lo stupore che ci regala la Natura.

L'idea di ripercorrere il viaggio di Parise nasce da una coincidenza. Non di età (lui 51 anni, il 49), non di professione (lui scrittore di successo, io semi-sconosciuto), non di provenienza (entrambi vicentini), né per il fatto d'essere vittime d'una dolorosa sciatica, ma piuttosto perché anch'io, come lui, vengo ospitato dall'ambasciatore italiano a Tokyo. Mi ritrovo così, le prime notti, proprio nella stanza dove dormì Parise.

A Tokyo trovo lo stesso cielo plumbeo e la pioggerella zen descritti nel suo arrivo 35 anni fa. All'aeroporto gli inservienti fanno l'inchino all'autobus che arriva. Sullo schermo di bordo appaiono cartelli che proibiscono di fare foto, parlare al cellulare, tenere alto il volume nelle cuffie. Proibizioni e deferenza. Un clima caldo con colori tedeschi.

La porta automatica del taxi s'apre con un movimento meccanico e si richiude. La stessa oscillazione della tavoletta nelle famose tazze da gabinetto automatizzate, con spruzzi e asciugamenti robotici. Le movenze della Macchina integrate nell'umanità.
Il portiere dell'ambasciata annuncia che il tifone dovrebbe essere al suo ultimo giorno. La segretaria non è felice della pioggia. Languore e meteorologia. Mi ritrovo così, le prime notti, proprio nella famosa stanza dove Parise dormì “un sonno al tempo stesso felice e lontano, simile a quelli delle convalescenze o della salvezza.” Alle otto in punto il domestico bussa ancora con il vassoio della colazione. Ecco la pioggerella: “un'acqua molto sottile spruzzava invisibile il grande prato del giardino.” C'è tutto. Anche le famose carpe multicolori del laghetto, descritte da Parise, sono ancora lì, come i fantasmi dei 25 samurai Ronin che nel Seicento proprio in questo giardino attuarono un obbligatorio seppuku, suicidio rituale per ordine dello Shogun, su cui sono stati scritti più di 50 romanzi.

La prima sera mi lascio andare in ammollo nell'acqua calda della vasca da bagno che penso abbia ospitato anche la terza “P” degli scrittori-viaggiatori vicentini (dopo, cronologicamente, Pigafetta e Piovene). Parise descrive le sue passeggiate notturne nel quartiere di Mita; l'incontro con un vecchio giardiniere nell'orto botanico; il ritratto di una famiglia giapponese in auto; il traffico; la metro; i grandi magazzini; il Sumo; le acque termali dell'onsen e i bar gay. Da queste impressioni trae spunti per contemplare un modo diverso di vivere la vita. Cerca di scrutare quel che gli appare un mistero magnetico, ma freddo.

Seguo tutti i suoi passi, o quasi. Appena fuori dall'ambasciata, un ragazzo canta allegro in bicicletta, due fidanzati si baciano. Studio il traffico. Nel 2015 ci siamo ormai assuefatti alla frenesia della metropoli. La metro è un meccanismo ben oliato. Giro per i grandi magazzini asettici, vado al primo incontro di Sumo della stagione. Vedendo quelle montagne di carne, avvinghiate dentro a un cerchio, Parise scrisse: “La concorrenza dentro la specie era il sentimento che faceva andare avanti il mondo e non l'amore.”

Mi ritroverò in un onsen tra i monasteri buddisti nelle montagne di Koyasan, a chiacchierare con un giovane gay catalano che, non trovandoci per sua fortuna nel 1980, parla con disinvoltura del fidanzato. Incontrerò così in un'unica esperienza tre temi di ”L'eleganza è frigida.” Sensualità, tradizione, mistica.
Parise visitò un autore importante in quell'epoca, Ishikawa Jun. Io andrò a trovare Banana Yoshimoto. Lo scrittore vicentino si perse in sublimazioni mistiche tra i tempi di Kyoto, io mi smarrirò in bicicletta nelle sue periferie industriali.

Per prepararmi al Giappone ho studiato “L'elogio all'ombra” di Junichirō Tanizaki e letto i romanzi di Yasunari Kawabata oltre a un'utile Enchi Fumiko in “Maschere di donna”. Mi chiedo se il Giappone di oggi sia di Haruki Murakami e di Kenzaburo Oë o non piuttosto quello di “Radio Imagination” (Neri Pozza) dell'ex rapper Seiko Ito, in cui un uomo trasmette un programma radio telepaticamente dalla cima di un albero, dov'è immobilizzato dopo lo tsunami. O se non sia piuttosto quello dei ragazzi dell'organizzazione Seald che vogliono tener vivo un pacifismo soffocato dal premier Shinzō Abe, che ora ha un esercito libero d'intervenire all'estero.

Oppure quello della gioventù apatica, ma sempre estetizzante, di Banana Yoshimoto, una generazione che oggi si caracolla fighetta e dandy nel quartiere fashionista di Omotesandō. Forse, come mi assicura lo scrittore Roger Pulvers, incrociato nei corridoi del Foreign Correspondents' Club e autore di “Ah, se non ci fosse il Giappone,” basta leggere il poeta Kenji Miyazawa, “uno dei più importanti del ‘900!,” per capire tutto? Non lo so. Non posso giudicare. Posso dire quel che ho visto in questo viaggio, ispirato da quello di Parise, e di cui scriverò un capitolo per un libro dedicato all'autore, di prossima pubblicazione per Marcos y Marcos.

Esistono droghe, persone e luoghi di cui si favoleggia. S'immagina ci possano trasformare e portare lontani da noi stessi. Porte dimensionali dell'Esotismo, terre di mistero e metamorfosi. Tanti credono ancora che l'Lsd li possa emancipare, che scoprire il Maestro giusto possa di per sé migliorare per sempre la vita o che perdersi in una cultura davvero aliena li possa ottimizzare per sempre. Così non è per il Giappone, anche se potrebbe sembrarlo.

Quello che si sente dire prima d'arrivarci è l'inevitabile alterità che vi circonda. Il mistero del vuoto che penetra il vivere quotidiano. Così come se dici “India,” ne consegue spesso la parola “paura,” se dici Giappone emerge la parola “alieno.” Cliché. Chi è cresciuto dopo gli anni '70 ed è diventato adulto in un mondo senza il Muro di Berlino, ritroverà qui comportamenti già visti in dozzine di film, letti in decine di romanzi, incontrati tra i turisti nelle nostre città, il tutto sullo sfondo di un set dei cartoni animati visti da bambini. Godzilla, Goldrake, Ufo Robot, i visi giapponesi-europei di Heidi, Remy, Lady Oscar, Capitan Harlock. Come i fumetti di Hayao Myazaki, anche questo é il Giappone. Basta guardare le nuvole di Tokyo per riconoscersi in un manga o un anime, già parte della nostra cultura da decenni. Il panorama unisce l'armonia del rigore architettonico e del giardinaggio zen con i luoghi del sogno europeo e americano: strade che sembrano Wall Street, la Tokyo Tower che imita la Tour Eiffel.

È questo il luogo familiare che Goffredo Parise, scoprendo somiglianze tra i cappellacci dei monaci buddisti e il copricapo del Doge oppure tra la Baia di Tokyo e “la lastra d'oro” della laguna di Chioggia, aveva già riconosciuto, rimanendone stregato.

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