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Yellen sotto assedio: l’Fmi chiede di non alzare i tassi. E i repubblicani vogliono «tagliare» la Fed

NEW YORK - Janet Yellen non è impegnata solo a valutare se davvero la Federal Reserve alzerà i tassi d'interesse americani al prossimo vertice di metà dicembre. In agenda ha anche una sfida di più lungo periodo e più complessa: proteggere la Federal Reserve da crescenti assalti, che vanno dai gentili appelli del Fondo Monetario ai duri j'accuse dei politici conservatori statunitensi.

È in questo contesto che Yellen ha aperto un convegno di due giorni dedicato ai nuovi canali di trasmissione delle scelte di politica monetaria. Cioè a capire se e come gli odierni strumenti delle Banche centrali - convenzionali e soprattutto non - possano agire con efficacia nell'era post-crisi. Un'era che ha visto profonde trasformazioni nel sistema finanziario, dalle regolamentazioni all'intermediazione e all'interdipendenza. «Abbiamo l'opportunità di esaminare un ventaglio di nuove questioni politiche e operative e l'efficacia di diverse opzioni», ha detto. E occorre «soppesare attentamente vantaggi e svantaggi di quadri alternativi per la realizzazione della politica monetaria».

Vale a dire, armarsi. La preoccupazione di Yellen, infatti, non è accademica. La necessità urgente è rafforzare credibilità, autorevolezza e indipendenza della Banca centrale. Una autorevolezza sicuramente necessaria alla luce delle polemiche all'ordine del giorno sulla sua attuale strategia accomodante, tra chi chiede a gran voce che sciolga ogni riserva e alzi il costo del denaro e chi, come ieri ancora il Fondo Monetario Internazionale, auspica che proceda invece con i piedi di piombo.

«Dovrebbe aspettare che al continuo rafforzamento del mercato del lavoro si aggiungano chiari segnali di risalita dell'inflazione - è tornato alla carica l'Fmi nel suo rapporto preparato in vista del G20 del 15 e 16 novembre a Antalya, in Turchia - Il rialzo della Fed potrebbe aumentare la volatilità dei mercati, con movimenti potenzialmente in grado di creare disturbo sui flussi di capitali e sui prezzi delle attività».

Ma consolidare la posizione della Fed è diventato indispensabile per respingere l'offensiva domestica di chi vuole drasticamente ridimensionare i suoi poteri. Simili sforzi non sono nuovi, ma nuova è la loro intensità nel campo conservatore. Il partito repubblicano, agli inizi della campagna elettorale, vede i suoi candidati uniti da poco ma con un elemento condiviso: l'enfasi populista che li vede scagliarsi, oltre che contro il Big Government, contro la Big Fed, associata anche alla riforma finanziaria Dodd-Frank che vogliono cancellare.

La Fed, insomma, come capro espiatorio di tutti i mali attribuiti ad eccessi di interventismo e strette normative che, accusano, soffocano la libertà di crescita dell'economia. Le grida contro la Fed si sono alzate non più unicamente dal libertario Rand Paul, che da sempre propone redini congressuali sulla Banca centrale, ma da buona parte degli aspiranti alla presidenza, senza essere seriamente contrastate da nessuno. Nell'ultimo dibattito presidenziale martedì sera, considerato finora il più di sostanza, il texano Ted Cruz, il più aggressivo, ha dichiarato che i vertici dell'istituzione sono composti da «re-filosofi che cercano di indovinare cosa accade all'economia». Lui personalmente chiede un ritorno al Gold Standard. Chris Christie ha detto che «la Fed deve smettere di fare politica con l'offerta di moneta». Le critiche fioccate sono state le più varie ed eventuali: sono echeggiate definizioni della Banca centrale come «manipolatrice del dollaro», secondo qualcuno perchè ne distruggerebbe il valore e stando ad altri perché al contrario lo tiene troppo forte. Ancora: Yellen e colleghi sono stati accusati di danneggiare i poveri perché con i bassi tassi d'interesse danneggia i risparmi (qualora ne avessero).
La vandea populista è stata tale che un noto intellettuale conservatore, Norm Ornstein dell'American Enterprise Institute, è rimasto sconcertato: «Nessuno dei candidati sembra aver neppure letto le idee più recenti e riformatrici degli economisti conservatori. Promuovono tutti idee antidiluviane».

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