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Il G-20 diventa un consiglio di guerra

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DOPO L’ATTACCO ALLA FRANCiA

Il G-20 diventa un consiglio di guerra

ANTALYA - Da venerdì notte, dall’orrendo attacco alla Francia, questo G-20 turco si è trasformato da un consesso economico in un consiglio di guerra. Formalmente, fino a ieri notte, l’agenda non era ancora cambiata: rilancio della domanda, degli investimenti strutturali, ambiente, restano in programma. Ma nella sostanza qui ad Antalya si parlerà di guerra. Lo ha detto François Hollande: l’attacco a Parigi, alla Francia e all’umanità «è un atto di guerra contro i francesi». E Papa Francesco ha alzato l’asticella ancora più in alto: «Siamo ormai nella Terza Guerra Mondiale», ha detto. Il termine può sembrare catastrofico ma è realista.

Lo hanno usato, seppure con una retorica diversa, Barack Obama e i suoi consiglieri per la Sicurezza nazionale che hanno rifatto ieri l’agenda per gli incontri destinati alla sicurezza. Il messaggio del presidente sarà chiarissimo: negli ultimi giorni, a parte l’eccidio francese, abbiamo avuto l’attacco al volo di linea russo, le bombe contro gli sciiti in Libano, le uccisioni in Egitto e gli attentati in Turchia, per questo da ieri per la Casa Bianca esiste un nuovo linguaggio in codice: il conflitto con l’Isis si è trasfomato da conflitto regionale in conflitto globale, richiederà unità di intenti, coordinamento e una risposta appropriata anche sul Piano militare.

Di questo fra oggi e domani e negli incontri bilaterali si parlerà al G-20 di Antalya. Perché l’emergenza attacco terroristico ormai riguarda tutti, è percepita da ognuno dei leader. E ciascuno vuole evitare che si ripeta nel suo Paese quel che è successo in Francia.

Il dossier del Presidente è stato preparato rapidamente in una riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale riunito d’emergenza nella Situation Room della Casa Bianca. In quell’incontro Obama ha coordinato azioni molto diverse fra loro. Ha fatto il punto con l’intelligence per aumentare il coordinamento con le altre organizzazioni di controspionaggio internazionali e la sorveglianza dei sospetti di terrorismo. Soprattutto quando si è saputo che alcuni degli attentatori francesi erano già conosciuti dai servizi.

C’è poi l’azione militare in corso, con la partecipazione di una cinquantina di soldati delle forze speciali. Da oggi quel numero per la Casa Bianca è insufficente. Da oggi diventerà urgente rifornire di armi i militari curdi anche contro la volontà del presidente turco Erdogan e aumentare gli attacchi aerei. C’è poi l’azione contro i terroristi di nazionalità del Paese in cui colpiscono. Anche se Isis, come a un certo punto succederà, sarà sconfitta, il seme di odio che si è lasciato dietro potrebbe mettere a rischio attentati per opera di “cani sciolti” e il G-20 dovrà identificare un progetto di comunicazione, persuasione “soft” che impedisca ai giovani di subire il fascino di una banda di terroristi. C’è poi l’azione diplomatica. Ieri a Vienna si è compiuto un importante passo in avanti fra americani, russi e una decina di altri Paesi fra cui l’Italia, nell’identificare un percorso politico per stabilizzare la crisi siriana.

In conferenza stampa, John Kerry ha parlato in francese, a lungo per rendere omaggio alle vittime di Parigi. E per sottolineare la fratellanza “secolare” tra Francia e Stati Uniti. Ha confermato quel che aveva detto Obama: si farà di tutto per aiutare la Francia a portare i colpevoli, i pianificatori, gli addestratori davanti alla giustizia. Poi ha illustrato il compromesso, certamente resto possibile dalla necessità da parte di tutti di mostrare una coerenza di pensiero granitica. Kerry ha fatto riferimento al Comunicato di Ginevra del 2012 come migliore soluzione, ha chiesto, con al fianco il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov e il mediatore dell’Onu Staffan de Mistura, un cessate il fuoco immediato fra i ribelli antigovernativi in Siria e il governo siriano, nel percorso si prevede una transizione siriana per avere in sei mesi un nuovo governo non settario e per riscrivere la costituzione fino ad arrivare entro 18 mesi a libere elezioni sotto la supervisione dell’Onu.

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