Mondo

La trappola jihadista e il valore della ragione

  • Abbonati
  • Accedi
ANALISI

La trappola jihadista e il valore della ragione

Questa non è una guerra, è una trappola, una trappola a cui bisogna assolutamente resistere. La trappola del terrorismo jihadista è quella di rendere folle l’Occidente.

Di trascinarlo verso atti estremi e vendicativi in una dinamica che distrugge infine proprio i valori di civiltà, fraternità, libertà e uguaglianza che vogliamo difendere.

Lo scopo dei Jihadisti, come nel caso dell’11 settembre 2001, il modello di tutti gli attentati che hanno seguito, è di farci perdere la ragione, la facoltà che sta alla base della rivoluzione francese, del laicismo, del progresso, della scienza, insomma di tutti i valori che questo nuovo terrorismo vuole distruggere. Ma il terrorismo non è una guerra: la gravità del terrorismo dipende dalle nostre reazioni di terrore, il terrorismo vince se riesce a spiazzarci, a scomporci, a farci paura e a creare l’alleanza micidiale tra paura e odio. L’unica reazione possibile, che per ora è quella del governo francese, è il sangue freddo, la calma: non farsi trascinare nella spirale della violenza. Ho molto apprezzato le parole composte di Hollande, quelle tecniche e misurate del ministro dell’Interno Cazeneuve e la bravura dei dirigenti sportivi allo Stade de France che sono riusciti a non interrompere la partita ed evacuare ottantamila persone nella calma. È l’unica prova di civiltà che possiamo dare. Non scomporci in comportamenti indegni di noi stessi, come vogliono i terroristi. Toglierci la dignità, la nostra stessa umanità, le nostre regole.

La strategia del terrorismo jihadista è creare situazioni violente di massima asimmetria, in cui gli atti che loro commettono non possono essere commessi da noi: decapitazioni, violenza sui civili, presa di ostaggi, bagni di sangue, suicidi kamikaze. La loro forza non è solo quella di sconcertarci, di farci inorridire, ma è di bloccarci al muro in una posizione in cui non possiamo rispondere. Come reagiamo? Come resistiamo alla provocazione? Non possiamo fare lo stesso e gli strumenti tradizionali nostri - polizia all’interno e guerra all’esterno - non sono più sufficienti. Ma se vogliamo mantenere i valori per i quali pensiamo valga la pena di batterci, dobbiamo resistere a questa trappola.

I Jihadisti sono per me l’“anti” movimento sociale per eccellenza: l’opposto di un movimento che crea cambiamento. Ci sono stati movimenti sociali nel mondo arabo, ai tempi della rivoluzione egiziana di Nasser, movimenti di modernizzazione, movimenti panarabici, modernizzazioni socialiste. Ma la Jihad non è un movimento: è la dissoluzione del mondo arabo in un’apatia religiosa che non farà cambiare più niente. Chi si arruola nella Jihad è su una strada di non ritorno in cui ciò che l’aspetta è solo la morte. Lo sa e lo vuole. Per questo è sbagliato dire che i giovani convertiti non sanno nulla della religione islamica. Forse non conoscono bene i precetti, ma il loro atteggiamento è profondamente religioso: apocalittico, ispirato e fanatico. Il comportamento religioso estremo ci spiazza perché le religioni che sono compatibili con la vita occidentale sono religioni moderate, in parte secolarizzate, in cui il “salto mistico” nell’apocalittico ha poco spazio. Sono più che altro sistemi di regole di condotta, dottrine morali.

Non sappiamo come gestire questi sentimenti estremi, non sappiamo come assorbirli. L’unica difesa che abbiamo è restare noi stessi.

(Testo raccolto da Gloria Origgi)

© Riproduzione riservata