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Basta con il proprio particolare

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Europa

Basta con il proprio particolare

Colpita la Francia, colpita l’Europa: vedremo quanto durerà sul campo delle scelte concrete questa union sacrée. Dopo Charlie Hebdo tnta solidarietà coralmente espressa in una marcia oceanica per le vie di Parigi si dissolse neppure troppo lentamente. Certo, questa volta è diverso: 129 morti dovrebbero essere in grado di scuotere le coscienze per un periodo un po’ più duraturo di qualche settimana.

E’ - ancora una volta, dopo Madrid 2004 e Londra 2005 - “l'11 settembre dell’Europa”. Già il fatto che il medesimo paragone sia stato evocato in tre occasioni diverse ci dice chiaramente quanto ancora troppo tenue sia il legame politico tra i Paesi europei, quanto ancora restiamo disuniti. Non è solo un discorso di istituzioni dell’Unione e dei suoi pallidi rappresentanti ma riguarda anche e soprattutto i leader degli Stati membri, sempre pronti a perseguire il proprio particolare, per un pugno di euro o per una manciata di voti in più.

Questa volte forse sarà diverso: ce lo auguriamo e lo pretendiamo. Dobbiamo pretendere come cittadini dei Paesi che compongono l’Unione, prima ancora che come cittadini dell’Unione stessa, che la reazione che dovrà replicare questo atto «non umano» (per citare le parole del Papa) sia unitaria, determinata, e visibile. Quando il presidente Hollande ha detto che l’azione francese sarà «spietata» ha evocato già qualcosa che non potrà limitarsi al pur determinante innalzamento del livello di guardia, all’individuazione e al rimedio delle falle nell’intelligence che hanno reso possibile la mattanza del 13 novembre. Occorrerà anche una rappresaglia di carattere militare, che anticipi la determinazione europea a contribuire molto più fattivamente a combattere l’Isis nel suo quartier generale, a dimostrare che i proclami del califfo assassino saranno rispediti al mittente. «Guai a chi seguirà la Francia nella sua lotta contro di noi nel Levante» - ha sostenuto uno dei comunicati di rivendicazione - «bombarderemo le vostre città come voi bombardate le nostre». Qui si colloca il punto della necessità di una reazione univoca, anche sul piano militare, da parte dell’Europa. Nella consapevolezza che né la Francia da sola, nonostante il suo imponente apparato militare, né l’Europa tutta insieme posseggono le capacità belliche che consentirono agli Stati Uniti a tre mesi dall’11 settembre di provocare il crollo del regime talebano in Afghanistan. Ma guai se dovessimo fornire ai propagandisti del terrore un’arma in più nella loro azione volta a dimostrare ai potenziali proseliti la pavidità e la decadenza dell’Europa.

Unità d’intenti e determinazione a sostenere i costi economici, politici ed umani di una guerra che non abbiamo iniziato noi, per difendere quei valori di civiltà di cui la Francia repubblicana è la massima espressione: non perché solo lì o lì più che altrove siano meglio affermati o implementati; ma perché, senza quell’idea repubblicana sorta nel 1789, in nessun’altra parte d’Europa o del mondo quelle libertà che ci fanno orgogliosi del grande passato di questo piccolo continente si sarebbero mai affermate.

Ma è anche il momento di distinguere. Distinguere innanzitutto i tratti del volto del nemico, che non è l’estremismo islamico in sé e per sé e neppure i movimenti islamisti che ricorrono anche alla lotta armata contro i propri nemici, per quanto noi si possa deprecare tale scelta. Il nostro nemico è l’Isis. E tutti coloro che lo contrastano rappresentano in questo momento potenziali alleati; mentre tutti quelli che non lo fanno, che lo sostengono o creano confusione, cercando di arruolarci nelle loro guerre, renderanno più lunga e costosa questa lotta. Se i 129 morti di Parigi del 13 novembre rappresentano un abominio contro l'umanità, anche i 70 ammazzati nella periferia sciita di Beirut dalle stesse mani assassine appena un giorno prima lo sono.

È il momento che l’Europa sappia far sentire forte la sua voce, se ne ha una o se riuscirà a trovarla nei prossimi giorni, anche a Vienna in quella conferenza sulla Siria che deve cercare di fare stare allo stesso tavolo i sauditi e gli iraniani, i russi, gli americani e noi, mentre Assad, Hezbollah e Israele ne sono gli interessati e più che partecipi osservatori. Questo è il piano diplomatico sul quale tanto si parla di voler agire per sconfiggere l’Isis: non alternativo ma complementare a quello militare e dell’intelligence. Senza costringere Riad e Teheran ad abbassare il livello del loro scontro, la guerra che insanguina il Levante non conoscerà fine e l’Isis continuerà a fare proselitismo. Abbiamo i mezzi per provare a farlo, abbiamo il dovere di tentare: dopo il 13 novembre ancora di più.

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