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La guerra impossibile con il nemico interno

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Europa

La guerra impossibile con il nemico interno

Per la Francia i fronti e le modalità di questa guerra sempre più difficile da combattere si moltiplicano. Negli anni 80 e a metà degli anni 90 i nemici erano esterni, da Carlos ai terroristi del Gruppo islamico armato algerino. Più recentemente – dal Merah di Tolosa ai Kouachi di Charlie Hebdo, fino al Salhi che ha decapitato il proprio datore di lavoro – i nemici erano “in casa”. Ora, da quando Parigi ha deciso di mandare i suoi caccia a bombardare l’Isis in Siria, sono dentro e fuori. Questi ultimi sono ben addestrati, hanno esperienza militare, riescono a passare attraverso le maglie dell’intelligence. E sembra essere cambiata anche la strategia. Gli obiettivi non sono più prevedibili, l’intento è quello di colpire nel mucchio, per fare i maggiori danni possibili. Una nuova sfida che alza ancora l’asticella dello scontro. Il quale richiede sempre più mezzi, sempre più professionalità, sempre più coordinamento internazionale.

Nel contempo non ci può permettere di allentare in alcun modo il controllo all’interno, quello appunto dei “nemici in casa”. Pochi giorni fa c’è stato il decimo anniversario della rivolta delle periferie, scoppiata nel 2005 dopo la morte di Zyed e Bouna e che aveva costretto il Governo a imporre lo stato di emergenza per la prima volta dalla fine della guerra d’Algeria. Dieci anni dopo, molte periferie rimangono delle pentole a pressione pronte a esplodere, con una popolazione quasi esclusivamente immigrata e di religione islamica, con tassi di disoccupazione che per i giovani raggiungono il 45 per cento. Dove i predicatori salafisti – che hanno ormai il controllo di un centinaio delle 2.500 moschee francesi – non hanno difficoltà a indottrinare, proponendo il loro comunitarismo identitario, e le filiere dell’Isis a reclutare.

Così come nei piccoli paesi della Francia profonda, dimenticati e marginalizzati. E nelle carceri, diventate luoghi di predicazione e diffusione dell’estremismo islamico.

Da questa polveriera sociale (e culturale) – che lo Stato sembra incapace di pacificare – escono le centinaia di “foreign fighters” francesi che vanno a ingrossare le fila dei combattenti islamici in Iraq e in Siria. Da cui alcuni tornano per alimentare, insieme a quelli che restano, reti, organizzazioni, protezioni.

Per la Francia il fronte di guerra va ormai da Raqqa a Clichy-sous-Bois.

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