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Molenbeek, terreno fertile per l’estremismo

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LA PISTA BELGA

Molenbeek, terreno fertile per l’estremismo

Gli attacchi terroristici di venerdì a Parigi hanno provocato al di là della frontiera, qui a Bruxelles, un esame di coscienza sul ruolo del Belgio nell’estremismo islamico. Come in altri attentati, anche quelli francesi hanno radici in un quartiere bruxellese della capitale. A Molenbeek l’integrazione è fallita. Al di là della disoccupazione elevata e dell’emarginazione sociale, lo sguardo corre a un confronto tra fiamminghi e valloni che tende a escludere una frangia della popolazione straniera.

«Osservo che c’è quasi sempre un legame con Molenbeek, che c’è un problema gigantesco – ha detto ieri il primo ministro belga Charles Michel in una intervista alla televisione fiamminga VRT –. Nei mesi scorsi, molte iniziative sono state prese contro la radicalizzazione, ma è necessaria anche più repressione». Ha aggiunto il ministro degli Interni Jan Jambon: «A Molenbeek, la situazione non è sotto controllo. Dobbiamo investirci di più» e riprendere, ha precisato, «il controllo della situazione».

Sulla scia degli attacchi di Parigi, la polizia belga ha arrestato cinque persone in questo quartiere di Bruxelles, tutte collegate ai tragici eventi di venerdì sera. In altri attentati islamici, quelli del gennaio 2015 a Parigi, del maggio 2014 a Bruxelles, e del marzo 2004 a Madrid, Molenbeek era stato il luogo di residenza di alcuni dei responsabili. Legami con il quartiere sono stati accertati anche nel corso dell’inchiesta su un uomo armato arrestato nel treno Amsterdam-Parigi nell’agosto scorso.

Molenbeek è uno dei 19 comuni di cui è composta Bruxelles. Abitato da 96mila abitanti, è segnato da una popolazione a forte maggioranza di origine immigrata, tendenzialmente marocchina o turca. Il tasso di disoccupazione oscilla intorno al 31%. Le caratteristiche etniche del quartiere saltano agli occhi rispetto ad altre zone della capitale: donne con il velo e uomini con la kefiah sono la regola; negozi, ristoranti, botteghe hanno pressoché tutti insegne in arabo.

Un giorno l’attuale ministro degli Esteri, il liberale francofono Didier Reynders, è sbottato: «Molenbeek, è anche lo straniero», facendo notare la differenza rispetto agli altri quartieri della capitale. Fatima Zibouh, una sociologa belga di origine marocchina, racconta in un volume (Bruxelles - Ceci n’est pas une ville) che da giovane nella sua classe di uno dei quartieri periferici della città «il 90% degli alunni aveva la mia origine». Per molti bruxellesi, ha aggiunto, Molenbeek «è il Far West».

Che il quartiere sia terreno fertile dell’Islam radicale è ormai appurato. Banalmente, i motivi sono simili a quelli di altri ghetti in Europa: l’elevata disoccupazione e l’emarginazione sociale in un Paese in cui gli stranieri sono il 10% e i musulmani il 6%. Ma vi sono anche le caratteristiche di un Belgio dominato dal confronto tra fiamminghi e valloni. Né fiamminghi, né valloni, gli stranieri meno integrati non si sentono belgi e trovano nell’estremismo religioso identità, sicurezza, e ragion d’essere.

Addirittura, la magistratura belga stima che 272 giovani belgi stiano combattendo in Siria, molti nelle file dello Stato Islamico, la percentuale più elevata tra gli europei presenti nel Paese rispetto alla popolazione totale della patria d’origine. Nell’interrogarsi sul radicalismo religioso in Belgio, alcuni osservatori puntano anche il dito contro un sistema delle forze dell’ordine troppo decentrato, per via dell’assetto federale del Paese e della natura multilinguistica dello Stato.

Altri ancora ricordano invece che il piccolo regno, un po’ come l’Olanda, è attraversato da una antica vena liberale, se non libertaria. Nei secoli, il Paese è stato uno straordinario crocevia commerciale e una ricca nazione industriale, così come la terra d’asilo di molti rifugiati, soprattutto tra Ottocento e Novecento, da Victor Hugo a Karl Marx a Carl Sternheim. Negli ultimi decenni, questa stessa vena ha forse contribuito involontariamente al radicamento di un Islam estremista nei quartieri meno privilegiati.

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