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La grande offensiva della galassia jihadista

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l’attentato in mali

La grande offensiva della galassia jihadista

È inevitabile pensare alla Francia. Inevitabile tornare con la memoria ai giorni in cui la bandiera jihadista sventolava sui tetti di Timbuktu. Ripensare alle migliaia di testi antichi bruciati dalla furia iconoclasta degli estremisti. È inevitabile non ricordare i due reporter di Radio France International , fermati e brutalmente sgozzati lungo la strada che porta a Tinessako, a est di Kidal. Ed è soprattutto inevitabile non pensare a un legame con la serie di attentati che lo scorso venerdì notte hanno sconvolto Parigi.

Torniamo al 2013. Dopo aver conquistato il Mali settentrionale, le truppe jihadiste, affiancate dai ribelli Tuareg, minacciarono di marciare sulla capitale Bamako. La Francia non poteva permettere che una sua ex colonia così vasta, un Paese dove tutt'oggi conserva grandi interessi, politici ed economici, si trasformasse in un Califfato. Inviò le sue truppe e riuscì, insieme al contingente militare del Ciad, ad avere la meglio sui gruppi jihadisti e a liberare le città dell'ampio territorio caduto sotto le leggi oscurantiste dei fondamentalisti.

Ma quel territorio desertico è rimasto sempre terra di gruppi fondamentalisti.
Le drammatiche ora che si tanno consumando a Bamako, la capitale del Mali, sembrano l'ultimo, gravissimo attentato di una lunga serie che sta scuotendo l'Europa, il Medio Oriente ed ora anche l'Africa nordoccidentale. Il commando di 10 jihadisti armati fino ai denti che, al grido di «Allahu Akbar» («Allah è grande»), ha fatto incursione nell'Hotel Radisson, pieno di stranieri, non può non far pensare all'ennesima ritorsione contro la Francia.

È ancora prematuro stabilire con certezza se vi siano dei legami tra gli eventi di Parigi e il dramma di Bamako. E di che tipo siano questi legami. Il dramma si sta ancora consumando. Ma l'impressione è che stia accadendo qualcosa. Come se la galassia jihadista, incoraggiata ed euforica per gli attentati di Parigi, avesse ripreso forza. Come se tutti i gruppi estremisti islamici, spesso non in contatto tra di loro e senza un apparente coordinamento, avessero deciso di sferrare una grande offensiva. Quasi a sancire un'alleanza con l'Isis.

Oggi in Mali è presente un contingente dell'Onu, ma il Paese resta instabile. Il 7 marzo scorso a Bamako un attentato contro un bar-ristorante aveva provocato cinque morti, tra i quali un francese e un belga. Si trattava della prima azione terroristica di questo tipo nella capitale del Paese.

Per meglio comprendere quanto sta accadendo oggi, occorre tornare indietro ai tempi della guerra contro Muammar Gheddafi, quando insieme al crollo del regime libico un esercito di miliziani del Maghreb al soldo dell'ex rais, ritornò in Mali e Niger. Nell'aprile 2012, il Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad (Mnla), composto da Tuareg di matrice non radicale, prese il controllo delle principali città e dichiarò unilateralmente l'indipendenza dell'Azawad, la parte settentrionale del Paese. Il sogno di un Azawad indipendente durò meno di due mesi. Perché le truppe jihadiste, Ansar Dine, il famigerato movimento Mujao (Movimento per l'Unicità e il Jihad nell'Africa Occidentale) e l'ancor più temibile al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) estromisero i ribelli dell'Mlns. La giunta al potere in Mali, che aveva conquistato Bamako nel 2012 con un colpo di Stato, sembrava impotente. Scattò l'Operazione Serval, una forza internazionale intervenuta su mandato Onu, per ristabilire la sovranità del Mali sui territori sahariani settentrionali. La Francia inviò migliaia di soldati. Ma l'impressione è che, anche quella guerra contro il terrorismo, non sia stata vinta.

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