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Sahel zona d’ombra dell’Africa

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IL FRONTE AFRICANO

Sahel zona d’ombra dell’Africa

Il Sahel è la zona d’ombra dell’Africa. Di quell’Africa che da un lato continua a crescere e astupire, nonostante la crisi. Che ha organizzato con successo - chi ci avrebbe scommesso? - i Mondiali di calcio. Di quell’Africa, ancora, dove si sta formando una classe media assetata di consumi di lusso all’occidentale. Dove Bmw, notizia di questi giorni, ha deciso di aprire uno stabilimento per produrre i suoi Suv x3: ne nasceranno 70mila all’anno dal nuovo impianto di Pretoria, destinati al mercato continentale, con un investimento da oltre 400 milioni di dollari. Un’Africa, ancora, da dove ha preso le mosse SabMiller, colosso mondiale della birra, quotato a Londra e Johannesburg, con radici saldamente piantate nella patria di Mandela. Tra i dieci Paesi a più rapida crescita economica, sei sono africani. Angola e Ghana sono i Paesi che crescono di più, con percentuali di Pil a doppia cifra. Ma ci sono anche Nigeria, Sudafrica, Botswana, Uganda e Kenya.

L’economista Charles Robertson, autore di The Fastest Billion, paragona lo stato di questi Paesi africani a quello dei Paesi asiatici negli Anni 70. C’è una straordinaria somiglianza geografica, demografica e macro-economica con quello che è successo da allora in India, Corea del Sud, Malesia e Indonesia e ciò che sta succedendo oggi nei Paesi sotto il Sahel (Kenya, Uganda, Angola, Ghana, Nigeria, Rwanda, Botswana). Con oltre un miliardo di abitanti, i miglioramenti nella governance e nelle istituzioni, i passi avanti nella scuola, le economie in crescita e sempre più aperte l’Africa è destinata ad avere un ruolo sempre più importante nei mercati globali. Secondo Robertson, nelle prossime due generazioni gli africani si abitueranno a fare i conti con questa crescita rapida che si allargherà sempre di più alle classi medie e medio-basse. Il Pil africano, sempre secondo le sue stime, passerà dai 2mila miliardi di dollari attuali ai 29mila miliardi nel 2050.
Accanto all’Africa che sorprende c’è la terra di nessuno del Sub-Sahara, oceano di sabbia che taglia in due come una lama il Continente nero, da Est a Ovest, e lambisce Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Sud Sudan, Eritrea: zone ad alta instabilità, Stati che sono altrettante ferite aperte nei fragili equilibri geopolitici degli anni Duemila.

A fine 2015, per la prima volta la percentuale di persone che vive al di sotto della soglia di povertà scenderà sotto il 10% della popolazione mondiale. Lo dice la World Bank. La sfida più grande, scrivono gli analisti, è quella della «crescente concentrazione della povertà globale nell’Africa subsahariana». Il buco nero. In quest’area geografica grande due volte e mezzo l’Europa, con i confini segnati sulla sabbia, Stati spesso corrotti o inesistenti e povertà endemica, sempre agli ultimi posti nelle classifiche mondiali di corruzione, sviluppo umano, alfabetizzazione, reddito pro-capite, aspettative di vita, c’è stata una proliferazione di sigle jihadiste negli ultimi anni. Milizie che hanno stretto alleanze criminali con le bande locali e le tribù nomadi. Così nel posto più povero del mondo prosperano i traffici di esseri umani, di droga, di armi, di rifiuti tossici e radioattivi, i sequestri di persona.
Secondo l’Agenzia Onu che lotta contro droga e criminalità (Unodc), gran parte della cocaina sudamericana venduta in Europa transita attraverso questa terra di nessuno. Il valore stimato del giro d’affari legato agli stupefacenti è di 1,25 miliardi di dollari l’anno. Il disfacimento politico della Libia ha aperto nuovi campi d’azione e connessioni. Tuttavia la lotta ai traffici e alle milizie, nell’era dei computer e delle guerre via satellite, non ha portato a molto. Non è esente da responsabilità l’Occidente, vuoi per l’assenza di politiche di sicurezza, vuoi per la corruzione e vuoi per interessi economici e connivenze.

Dietro agli attentati dei fondamentalisti c’è poi un lungo fiume di dollari, che, con la complicità del sistema bancario, arriva dall’Occidente, dai musulmani radicali che vivono in Occidente e nei Paesi arabi, e dalle fondazioni islamiche, cosiddette caritative, che sostengono «lo sviluppo dell’Islam nel mondo». Un rapporto di Overseas Delopment Institute, think thank britannico, sostiene che «un numero crescente di banche internazionali, incluse Hsbc, Ubs, e NatWest hanno chiuso conti bancari, bloccato o ritardato la concessione di trasferimenti da conti correnti di ong musulmane registrate in Gran Bretagna».
In questo quadro complesso e instabile la prossima settimana in Africa arriverà Papa Francesco che visiterà Kenya, Uganda e poi la martoriata Repubblica Centrafricana. «Bergoglio - spiega il portavoce Vaticano - vuole parlare della misericordia e dell’amore di Dio ai popoli più provati». Per questo motivo il suo Giubileo della misericordia inizierà in Africa.

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