Gli americani si sono molto scandalizzati quando hanno scoperto di essere arrivati solo al 14° posto nella speciale classifica sull’educazione finanziaria curata da Standard & Poor’s Ratings Services assieme alla Banca Mondiale, all’Istituto Gallup e al Global Financial Literacy Excelence Center della George Washington University (guidato dall’italiana Annamaria Lusardi). Gli Stati Uniti sono stati superati persino da Singapore e Repubblica Ceca, hanno strillato indignati i giornali americani.
Ma noi cosa dovremmo dire, con l’Italia che arranca al 63° posto della classifica dietro a nazioni come Senegal, Benin, Togo, Zambia e Madagascar? Incredibile ma vero, uno dei Paesi più ricchi e sviluppati dell’occidente è stato battuto dall’Africa nera in fatto di nozioni di base di finanza. E non si può dire che la ricerca Financial Literacy Around the World pecchi di approssimazione: condotta su un campione sconfinato (150mila adulti di 148 Paesi) non si segnalava per domande particolarmente cattive. I temi erano tutto sommato basic: inflazione, interessi composti, diversificazione finanziaria. Chiunque può provare a mettersi alla prova con il test, che abbiamo riprodotto. Eppure solo il 37% degli interpellati italiani è stato in grado di rispondere correttamente. In Norvegia, Danimarca e Svezia sono stati il 71%, in Gran Bretagna e in Germania rispettivamente il 67% e il 66%. Negli Stati Uniti e in Svizzera il 57%. In Francia il 52%, in Spagna il 49%, in Grecia il 45% e nello Zambia il 40%. Ma perché, è un problema essere poco ferrati in educazione finanziaria? Lo è, innanzitutto perché costa un sacco di soldi.
L’ignoranza costa
Non essere al corrente delle nozioni base di finanza ha un prezzo, spiega la ricerca. Un prezzo a volte non indifferente. Prendiamo il concetto di interesse composto, ossia quando gli interessi - invece di essere riscossi - vengono aggiunti al capitale iniziale che li ha prodotti generando a loro volta interessi. Ecco, secondo il report non avere colto questo concetto significa «spendere di più per le transazioni, contrarre debiti maggiori, sostenere maggiori tassi d’interesse sui prestiti». In soldoni, ci si indebita di più e si risparmia meno. Chi invece conosce l’Abc della finanza è in grado di pianificare meglio (e diversificare) il proprio risparmio.
I ricchi ne sanno di più
La ricerca ha anche confermato che chi ha maggiori risorse economiche conosce meglio i fondamentali della finanza rispetto a chi è meno facoltoso. Il report cita apertamente proprio il caso italiano: se interpelliamo il 60% degli italiani più agiati questi mostrano un’educazione finanziaria superiore (44% contro il 37% medio), ma la percentuale precipita se a rispondere è il 60% di italiani meno ricchi (27% contro il 37% medio, ben dieci punti in meno). Un fenomeno che comunque si osserva un po’ in tutte le economie più avanzate.
Differenze di genere, età e scolarizzazione
Oltre a quello della ricchezza esistono altri “spread” in fatto di educazione finanziaria. Le donne, per esempio, sono più in difficoltà rispetto agli uomini (quelle che padroneggiano “l’Abc” sono il 30% contro il 35% dei maschi), sia nelle economie sviluppate che in quelle emergenti. Esistono peraltro alcuni Paesi, come Cina e Sudafrica, in cui il “gender gap” è azzerato e i due sessi ottengono gli stessi risultati.
Interessanti anche le differenze legate all’età. Nelle economie sviluppate spicca la fascia 35-50 anni (63% di persone preparate), seguita da quella degli under 35 (56%), con percentuali di educazione finanziaria che precipitano dopo i 65 anni di età. Nei Paesi emergenti, invece, sono proprio i giovani fino a 35 anni a mostrare i migliori risultati. Ovviamente poi la padronanza dei concetti base di finanza aumenta proporzionalmente al livello di scolarizzazione. Anche chi è titolare di un conto corrente bancario riesce, in media, a ottenere risultati leggermente migliori rispetto alla media.
I risultati che non ti aspetti
Morale: la mappa mondiale dell'educazione finanziaria è davvero a macchia di leopardo. Il risultato degli Stati Uniti, solo all’11°posto (e addirittura al 21° se consideriamo la fascia dei “millennials”, quella tra i 15 e i 34 anni) è sorprendente per un Paese che vive storicamente a debito, tra mutui immobiliari e prestiti per l’università, insegnando peraltro le basi di finanza fin dalle elementari. Ma come sottolinea la curatrice della ricerca, Annamaria Lusardi, «è allarmante come alcune economie sviluppate abbiano livelli davvero bassi di educazione finanziaria». Con un doppio riferimento implicito: al Giappone, arrivato 38° (con solo il 43% di risultati sufficienti) ma soprattutto all’Italia, laggiù al 63° posto, a mangiare la polvere di Togo e Zambia.
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