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Le guerre di Putin e di Erdogan si scontrano nei cieli ai confini della Siria

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analisi

Le guerre di Putin e di Erdogan si scontrano nei cieli ai confini della Siria

Le guerre di Putin e di Erdogan si scontrano nei cieli ai confini di Siria e Turchia, storico membro della Nato. L'incidente era stato sfiorato una dozzina di volte da quando Mosca è intervenuta militarmente in Siria alla fine di settembre. Prima o poi doveva accadere e le avvisaglie c'erano già state: l'ambasciatore russo ad Ankara era stato convocato nei giorni scorsi per dare spiegazioni dei bombardamenti di Mosca sui villaggi turcomanni, una minoranza siriana turcofona nei confronti della quale il governo turco si è spesso atteggiato a grande protettore non solo in Siria ma anche in Iraq, dove costituisce una presenza consistente a Kirkuk, città storicamente rivendicata dai curdi.

In realtà i russi in Siria non hanno preso di mira soltanto il Califfato e i jihadisti ma anche le altre postazioni dell'opposizione ad Assad, comprese quelle dell'Els (Esercito di liberazione siriano) e dei turcomanni, sostenuti dalla Turchia, che intende costituire dentro il territorio siriano delle “safe zone” e delle “no fly zone”, zone sicure e di non sorvolo con un duplice scopo: spezzare la continuità territoriale delle zone curde autonome e infilare i propri soldati in appoggio alle milizie schierate contro Bashar Assad.

Anche i turcomanni rientrano quindi nella strategia di Ankara e la Russia ha fornito con i sorvoli dei suoi aerei un casus belli. Mosca nega che i suoi caccia abbiano sconfinato nello spazio aereo turco ma si può dire che la Turchia non aspettasse altro: sono state infatti annunciate immediate consultazioni di Ankara con la Nato e con l'Onu.

I turchi adesso hanno un forte appiglio per fare pressioni sugli Stati Uniti che avevano negoziato l'uso della base turca di Incirlik per i raid aerei sul Califfato senza però cedere alla richiesta di Ankara di costituire delle zone cuscinetto terrestri e delle no fly zone. Gli americani avevano respinto il piano turco per tre ragioni: per non coinvolgere un Paese della Nato nel conflitto siriano, per non urtare la resistenza dei curdi al Califfato, già bombardati dall'aviazione di Ankara, e per l'atteggiamento ambiguo tenuto dalla Turchia nei confronti dell'Isis, uno strumento della guerra dei sunniti contro gli sciiti.

Cosa accadrà adesso? La Turchia può avviare delle ritorsioni e chiedere una partecipazione attiva dell'Alleanza da cui aveva già ottenuto lo schieramento di batterie di missili Patriot poi ritirate.

Ma c'è anche la possibilità che si tenti una soluzione diplomatica per abbassare la tensione. Domani è previsto l'arrivo in Turchia del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, una missione concordata in occasione del G-20 di Antalya: Russia e Turchia sulla Siria hanno posizioni distanti, con la prima che insieme all'Iran sostiene Assad e vorrebbe tenerlo in sella, la seconda che invece chiede la sua deposizione a breve.

Sia i russi che i turchi, legati dal gasdotto Blue Stream e da un interscambio da 100 miliardi di dollari l'anno, potrebbero non avere interesse ad aumentare la tensione, già emersa in passato e che in estate aveva portato il presidente Erdogan in viaggio a Mosca dove, per compiacere l'ospite, Putin lo aveva invitato all'inaugurazione di una grande moschea. Su un punto però non ci sono dubbi: la guerra di Siria, dopo l'intervento russo e la strage di Parigi, non è più soltanto un conflitto per procura tra potenze regionali e dentro l'Islam, ma un capitolo aperto della guerra mondiale a pezzi.

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