“Non poteva capitare in un momento peggiore”, così un'anonima fonte della NATO ha commentato l'abbattimento di un cacciabombardiere russo SU 24 da parte di due F16 turchi. Si tratta di un episodio gravissimo, che non solo mette in luce i costi e i rischi di condurre un'azione militare in assenza di un coordinamento politico più complessivo, ma ben di più evidenzia le tante, troppe guerre che ognuno combatte in Siria. Guerre che piuttosto che essere parallele ormai rischiano persino di confliggere reciprocamente, per la gioia del califfo al-Baghdadi.
I turchi parlano di legittima difesa, omettendo però che, anche qualora il caccia russo avesse davvero sconfinato per 17 secondi in Turchia, la prassi internazionalmente seguita in questi casi sarebbe stata quella di sospingere fuori dello spazio aereo turco l'intruso, non certo quella di abbatterlo. Come è stato giustamente osservato, “con i criteri di Erdogan negli anni della Guerra Fredda avrebbero dovuto essere abbattuti decine di aerei, con decine di casus belli per lo scoppio della Terza Guerra Mondiale...” (Pietro Batacchi sulla “Rivista Italiana di Difesa”). Evidentemente Ankara ha voluto “punire” la Russia per il bombardamento delle posizioni dei ribelli anti Asad, dotando implicitamente questi ultimi di una copertura antiaerea per procura. Lo ha ammesso implicitamente lo stesso presidente turco Erdogan, quando ha sostenuto che la Turchia avesse “soltanto difeso la sua sicurezza e i diritti dei suoi fratelli turcomanni”. Se il primo obiettivo è però legittimo, pur restando eccessive le modalità con cui lo si è perseguito, il secondo implica un'ambizione panturanica e una potenziale volontà di smembramento della Siria che la comunità internazionale non può condividere in alcun modo.
Stupisce pertanto la dichiarazione del presidente americano Barack Obama sul diritto della Turchia di ”difendere il proprio spazio aereo”, poiché, nonostante l'invito ad abbassare la tensione, le parole della Casa Bianca rischiano di fornire un avallo alla politica avventuristica di Erdogan. Difficile capire quando e in che modo la crisi tra Russia e Turchia potrà essere ricondotta a un livello meno drammatico. Quello che però Washington dovrebbe avere ben chiaro è che la lunga, prolungata incertezza e latitanza americana in Medio Oriente sta rischiando di scaricare un peso insostenibile sulla struttura dell'Alleanza Atlantica, con un Paese membro della NATO (la Francia) che coordina l'azione delle sue forze aeronavali con la Russia, mentre un altro (la Turchia) ne abbatte i jet. In particolare dopo gli attentati di Parigi, gli alleati europei della NATO sono alla ricerca di una difficile unità d'azione e di tutto hanno bisogno meno che di segnali ambigui da parte di Washington.
Da questa parte dell'Atlantico la scelta di “imbarcare” la Russia nella coalizione politico-militare anti ISIS è condivisa tanto dai Paesi che hanno una posizione più bellicosa (la Francia, l'Olanda, la Danimarca) quanto da quelli più pacifisti (l'Italia, la Germania). Quello che gli europei vorrebbero capire è quale sia il loro peso nelle decisioni americane e soprattutto se Washington consideri più rilevanti gli interessi e le paure delle monarchie petrolifere sunnite, della Turchia e di Israele, tutti preoccupati del ruolo russo e iraniano nella ricerca di una soluzione per la guerra civile siriana, oppure quelli dell'Europa, che si sente minacciata innanzitutto dai terroristi di al-Baghdadi e per la quale il coinvolgimento russo (e iraniano) rappresenta un asset ormai irrinunciabile.
La sensazione è che, più o meno implicitamente, Obama abbia già fatto la sua scelta, che non privilegia certo le democrazie europee ma anzi favorisce gli alleati autoritari e semi-autoritari di Washington in Medio Oriente. Certo è che, mentre tale opzione appare contraddittoria verso la grande apertura effettuata proprio da Obama nei confronti dell'Iran con l'accordo sul nucleare, essa è in compenso perfettamente coerente con il tentativo di minimizzare il ruolo che la Russia si è ritagliata in Medio Oriente, proprio grazie agli errori compiuti dall'America di Bush e da quella di Obama: a qualunque costo. Considerando quanto la Russia fa contro l'ISIS e quanto la Turchia non ha fatto (o ha fatto per favorirne il rafforzamento), sembra che per l'America l'esclusione dalla Russia dal Medio Oriente rappresenti una priorità persino rispetto alla distruzione di ISIS.
È però singolare che la Casa Bianca non comprenda che l'avventurismo di Erdogan rischia di causare alla NATO un danno ben maggiore di tutti i tentativi operati in tal senso da Putin a partire dalla crisi ucraina. Proprio questo dovrebbe far ricredere l'amministrazione Obama dal concedere credito eccessivo ad Ankara e dal prestare così poco orecchio alle preoccupazioni europee. Se il prezzo dell'espulsione della Russia dal Medio Oriente dovesse essere rappresentato da una crisi dell'Alleanza Atlantica, quella americana si rivelerebbe peggio di una vittoria di Pirro: sarebbe una vera e propria catastrofe strategica.
© Riproduzione riservata