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Europa divisa sull'apertura a Pechino

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Il dibattito

Europa divisa sull'apertura a Pechino

  • –dal nostro corrispondente

BRUXELLES - La questione se concedere alla Cina lo status di economia di mercato è tornata ieri argomento di discussione tra i Ventotto, riuniti in un consiglio dei ministri responsabili del commercio. Nessuna decisione è stata presa, anche perché i paesi sono in attesa di una eventuale proposta della Commissione europea che, nel caso, dovrebbe giungere tra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo. Il tema però è controverso. Accende gli animi e divide gli stessi paesi, tra loro e al loro interno.

La commissaria al Commercio, Cecilia Malmström, ha illustrato ai ministri l'iter procedurale con il quale, nel caso, attribuire alla Cina il nuovo status. Quando il Paese entrò nell'Organizzazione mondiale del Commercio nel 2001, l'Unione europea decise che alla fine di un periodo di 15 anni avrebbe valutato se concedere o meno al gigante asiatico lo status di economia di mercato. Una eventuale proposta deve essere presentata dalla Commissione europea tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016.

L'eventuale testo legislativo dell'esecutivo comunitario deve essere poi approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata dei Paesi membri. Si è limitato a spiegare ieri un esponente comunitario qui a Bruxelles: «La Commissione europea sta valutando le possibili implicazioni della scadenza di alcuni protocolli d'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio relativi alle indagini di difesa commerciale». La scelta non è banale.

Nel concedere lo status, l'Europa limiterebbe il suo potere di imporre misure anti-dumping a un Paese nel quale molte imprese godono di sussidi pubblici. Non sono mancate in questi anni vicende nelle quali Bruxelles ha deciso di imporre dazi alla produzione cinese, in particolare nel campo dei pannelli solari. I Paesi o le associazioni di categoria che non vogliono sentire parlare di concedere alla Cina lo status di economia di mercato citano la recente crisi del settore siderurgico.

A dire il vero, da un punto di vista giuridico è controverso se l'articolo 15 del protocollo d'ingresso della Cina nella Wto imponga l'obbligo per la Commissione di fare una proposta sullo status economico del Paese asiatico. Una interpretazione della norma sostiene che Bruxelles sarebbe in realtà obbligata solo a presentare proposte di modifiche della metodologia di calcolo dei dazi anti-dumping. Proposte su cui Bruxelles avrebbe piena libertà di manovra.

Riassume un diplomatico: «Da un lato c'è la necessità di salvaguardare il rapporto globale con la Cina» con la quale l'Unione sta negoziando un accordo sugli investimenti. «Dall'altro, c'è il timore che concedere lo status possa provocare un aumento delle importazioni dal paese asiatico con un incremento della disoccupazione». Un'associazione – Aegis Europe – ha pubblicato un'analisi preoccupata di due professori americani sull'impatto di questa eventuale scelta (si veda Il Sole 24 Ore del 19 settembre).

I Paesi sono divisi, tra loro e al loro interno: «Le posizioni a favore e contro lo status alla Cina emergono negli stessi Paesi», spiega un altro diplomatico. L'Italia è tra gli Stati membri più preoccupati. All'inizio del mese, il vice ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda ha colto l'occasione della crisi del settore siderurgico europeo, provocata anche dalla concorrenza dei Paesi emergenti, per sottolineare con forza i danni che deriverebbero dalla concessione dello status alla Cina.

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