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Hollande: «Distruggeremo i fanatici»

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Hollande: «Distruggeremo i fanatici»

  • –Marco Moussanet

parigi

Che impressione vedere François Hollande attraversare il cortile d’onore degli Invalidi spazzato da un vento gelido. Una figurina nera persa nell’immensità del selciato. Un uomo solo che trattiene a stento le lacrime. La Marsigliese suonata dalla banda della Guardia repubblicana non basta ad attenuare questa immagine quasi metafisica. Una scena che ha qualcosa di agghiacciante. Agghiacciante come i terribili eventi che questa cerimonia serve a commemorare.

Alle dieci e mezza in punto inizia l’omaggio solenne della Francia ai «martiri del 13 novembre», come li chiama il presidente. Un rituale collettivo che serve a ricordare le vittime. A dire ai sopravvissuti che non sono soli. E a cercare di dare un senso – sempre che sia possibile - a una morte tanto assurda. Centotrenta eroi loro malgrado. Eroi civili, eroi ordinari. Ricordati e celebrati nel luogo simbolico dei saluti agli eroi militari. D’altronde anche questa è una guerra.

Un addio in musica, com’è giusto. Con la parola «amore» tante volte cantata, ripetuta, ribadita, insistita. Nelle canzoni, le poesie, di Jacques Brel, con la sua “Quando non si ha che l’amore”, e di Barbara, che in Perlimpinpin invita ad amare «con ebbrezza». Mentre sul maxischermo scorrono i volti delle vittime innocenti.

Poi – per undici interminabili, insopportabili minuti – l’elenco dei caduti. I nomi e le età di quelli che ormai vengono chiamati “la generazione Bataclan”. Erano quasi tutti così giovani che sembra strano sentire ogni tanto «58 anni, 61 anni, 63 anni». Quando viene letto il nome di Lola Ouzounian, 17 anni, Hollande abbassa lo sguardo. Ma come si fa? Com’è possibile che si muoia a 17 anni andando a sentire un concerto, a bere un bicchiere con gli amici? «Centotrenta risate che non sentiremo più», dice il presidente dei francesi. E anche noi facciamo fatica a trattenere le lacrime.

Hollande attraversa il cortile, sale sul palco, si avvicina al microfono per l’ennesimo sforzo immane di queste due terribili settimane. Forse il più difficile: parlare ai parenti dei morti, seduti di fronte a lui, e ai feriti, che non dimenticheranno mai.

«Un’orda di assassini – dice Hollande trovando ancora una volta le parole giuste – ha ucciso 130 dei nostri, in nome di una causa folle e di un Dio tradito. Vi prometto solennemente che la Francia farà di tutto per distruggere l’armata di fanatici che ha commesso questi crimini. Ma vi prometto anche che la Francia non cambierà. Il nemico è il fanatismo, l’oscurantismo. Lo batteremo insieme, con le nostre armi, quelle della democrazia. Combatteremo questa battaglia fino in fondo e la vinceremo. Risponderemo moltiplicando le canzoni, i concerti, gli spettacoli. Loro hanno il culto della morte, noi abbiamo l’amore della vita».

Ci sono anche delle sedie vuote, nella tribuna che ospita le famiglie delle vittime. Tre di loro hanno deciso di non partecipare, di rifiutare l’omaggio dello Stato. Perché ritengono che non sia stato fatto abbastanza dopo le stragi di gennaio, a Charlie Hebdo e all’ipermercato kasher, perché alle parole di fermezza non sono seguiti i fatti, perché si è dovuta aspettare un’altra carneficina per varare finalmente misure straordinarie. Come lo stato di emergenza, che ha costretto Parigi a derogare temporaneamente alla Convenzione sui diritti dell’uomo».

O con motivazioni più politiche, perché si è lasciato che tante periferie si trasformassero in ghetti, diventati immensi serbatoi di reclutamento per l’estremismo islamico.

Neppure l’invito a esporre la bandiera alle finestre è stato raccolto massicciamente. Non erano molte, ieri, le case con il tricolore.

Pazienza. L’importante è che agli Invalidi la Francia abbia offerto la miglior immagine di sé: unita nel dolore ma anche nella volontà di lottare e continuare a vivere nel modo che ha scelto. Liberamente.

Certo, ora bisogna che si vada avanti sui tanti fronti aperti. Tra cui quello diplomatico e militare. Che nel giorno successivo al vertice di Mosca tra Hollande e Putin ha registrato l’ennesima correzione di rotta da parte di Parigi. Dopo aver rinunciato alla pregiudiziale dell’uscita di scena di Assad, per bocca del ministro degli Esteri Laurent Fabius ha riconosciuto che l’esercito siriano – sia pure nel quadro del processo di transizione - può svolgere un ruolo prezioso nella lotta sul campo allo Stato islamico.

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