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Clima, il rischio di un'Europa isolata e divisa

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AL VIA IL VERTICE DI PARIGI

Clima, il rischio di un'Europa isolata e divisa

C'è un esercizio molto istruttivo che andrebbe fatto in questi giorni, mentre il mondo converge a Parigi per la Cop21: sfogliare la rassegna stampa della Cop15 di Copenaghen del 2009. I titoli dei giornali di allora raccontano le aspettative della vigilia, le difficoltà dei giorni di dibattito e la delusione finale. “L'Europa è rimasta sola”, era il concetto che riassumeva tutto.

A Parigi non deve finire così, ma senza lo sforzo di tutti il rischio è alto. Gli impegni che i Paesi hanno annunciato durante la preparazione della Conferenza non sono sufficienti. Se davvero vogliamo limitare l'aumento della temperatura a fine secolo a 2°C rispetto all'epoca pre-industriale, dobbiamo rivoluzionare il paradigma di sviluppo fin qui dominante e scegliere, senza ambiguità, un modello low carbon.

Per farlo serve però un cambio di passo nella strategia che valga per tutti.
Vanno definiti innanzitutto obiettivi chiari e puntuali a livello globale, in termini di azioni e tempistiche.

Non si può, d'altra parte, ignorare quello che dicono gli studi più autorevoli sull'evoluzione dell'energy mix: anche nello scenario che rispetta il traguardo dei 2°C, le fonti fossili copriranno nel 2030 più dei due terzi del fabbisogno di energia, mentre eolico e solare arriveranno a soddisfare solo il 6% della domanda.

Si deve quindi individuare un percorso che garantisca la sostituzione graduale ed economicamente sostenibile delle fonti ad alto contenuto di carbonio con quelle più pulite, attraverso politiche chiare, valide su scala globale e capaci di attrarre investimenti.

L'Europa deve parlare su questo con un'unica voce e mostrarsi come esempio. Ma se resta un'avanguardia solitaria non otterremo i risultati che servono.

È dalla Conferenza di Rio del 1992 che i paesi industrializzati cercano un vero accordo sulle emissioni, ma solo la Ue potrà vantare un taglio delle emissioni del 27% al 2020.

Come europei abbiamo dato in molti casi il buon esempio in questi anni, ma contiamo solo per il 10% delle emissioni ed i nostri risultati da soli non servono a modificare i trend globali.

Inoltre abbiamo favorito una rilevante contraddizione nell'evoluzione dell'energy mix europeo. Cosa è successo? In primo luogo le scelte sulle rinnovabili, unite alla debolezza interna del mercato europeo, hanno portato a costi dell'energia tre volte superiori a quelli americani, danneggiando la competitività industriale e gravando sulla spesa delle famiglie. Poi abbiamo sbagliato nel decidere come accompagnare lo sviluppo delle rinnovabili. La scelta più logica e con il minor impatto ambientale sarebbe stata il gas naturale, ma l'Europa ha affidato tutto al solo mercato ed ha come esito un boom della risorsa più economica disponibile: il carbone.

Che lezioni si possono trarre? Che per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione servono scelte politiche in grado di guidare il funzionamento del mercato nella selezione delle fonti di energia e serve un sistema di “carbon pricing” ambizioso. È utile in tal senso un raffronto tra il “modello tedesco”, orientato alle rinnovabili ipersussidiate senza limiti sull'uso del carbone, e la strategia britannica di switch-off dal carbone al gas attraverso il cosiddetto sistema EPS, che premia la performance. In 7 anni, la diminuzione delle emissioni in Germania è stata oltre quattro volte inferiore a quella del Regno Unito, che invece ha scommesso proprio sul gas in combinazione con una “via nazionale” alle rinnovabili.

Il potenziale del gas è una delle ragioni per cui, come Eni, siamo pronti a rispondere alle sfide di questa Cop21, sperando che vada nella direzione giusta. Perché puntiamo a strategie di lungo periodo che creino valore e non solo il profitto del prossimo semestre.
Siamo convinti che il gas naturale sia complementare alle rinnovabili e contribuirà a soddisfare buona parte del fabbisogno mondiale di energia nei prossimi decenni, in uno scenario meno inquinante e più sostenibile.

Per questo continuiamo a investire nella catena del gas naturale, che al momento rappresenta il 50% del portafoglio Eni, con un'incidenza destinata a crescere con i piani di sviluppo in Mozambico e con le opportunità dischiuse dalla scoperta, lo scorso agosto, del giacimento di Zohr, nell'offshore egiziano.

Più in generale, ci siamo dotati di policy interne rigorose per la gestione dei rischi legati ai cambiamenti climatici, come il carbon pricing nella valutazione degli investimenti, e agiamo per proteggere l'ambiente fin dalle prime fasi della progettazione. Per questo, limitiamo la nostra presenza in Artico solo nelle zone ice free, miriamo all'efficienza energetica e operiamo per la riduzione del flaring e del venting. Tutte scelte grazie alle quali, tra il 2010 e il 2014, abbiamo abbattuto del 27% le nostre emissioni di C02.

Abbiamo contribuito alla costituzione dell'Oil & Gas Climate Iniziative (Ogci), una piattaforma comune con le altre major per la promozione di tutte le misure utili a ridurre le emissioni. E con 5 compagnie petrolifere europee, abbiamo sottoscritto una lettera pubblica, la scorsa estate, per richiedere, proprio in vista di Cop21, l'introduzione a livello mondiale di meccanismi di carbon pricing. È qui, a nostro avviso, che va fissato il pilastro di un'intesa internazionale che vincoli sia i Paesi avanzati sia quelli emergenti, superi la frammentazione attuale e favorisca, disincentivando le tecnologie inquinanti, l'affermazione di un paradigma low carbon capace, al contempo, di non ingenerare squilibri competitivi tra Paesi.

La scelta implica coraggio e condivisione, ma soprattutto la capacità di mettere in discussione certezze acquisite, posizioni di rendita, interessi di breve o anche medio periodo.

Mai come oggi tuttavia, dinanzi a fenomeni di inedita e straordinaria complessità, la comunità internazionale ha la responsabilità di essere ambiziosa e di consegnare alle generazioni future un modello di sviluppo più sostenibile e più giusto. Il tempo dei compromessi al ribasso, anche sui cambiamenti climatici, può e deve finire.

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