3/4 Le tre lezioni della Spagna / Riforma incisiva e rapida del mercato del lavoro
In Spagna la riforma del mercato del lavoro è stata introdotta circa tre anni prima che in Italia (2012 invece che 2015) e, oltre a intervenire come ha fatto il “Jobs Act” su flessibilità in uscita e dualismo fra lavoratori con contratti di durata diversa, ha introdotto misure che hanno spostato la contrattazione collettiva dal livello settoriale e regionale a quello di impresa. In questo modo, come sottolinea l'analisi del Csc, è stata favorita la flessibilità interna delle aziende, in termini sia di orari che di mansioni. L'effetto quasi immediato è stato una moderazione significativa della dinamica salariale, consentendo all'occupazione di tornare a crescere: il tasso di incremento dei salari nominali è passato da una media del 2,7% nel periodo 2009-11 a una dello 0,2% nel periodo 2012-14.
«Ad aumentare, secondo un recente studio dell'Fmi, è stata anche la flessibilità macroeconomica: in futuro una diminuzione della domanda di lavoro non sarà più associata a un aumento dei salari come prima della riforma». Inoltre, grazie anche a una maggiore flessibilità delle ore lavorate, le nuove misure sarebbero in grado di ridurre l'impatto occupazionale di una eventuale crisi di circa il 20% in confronto al regime precedente, spiega il report del Centro studi confindustriale.
Rispetto alla riforma del lavoro italiana, quella spagnola è invece stata meno incisiva nel ridurre il dualismo.In particolare, gli incentivi per assumere a tempo indeterminato hanno riguardato esclusivamente le piccole imprese (il nuovo contrato “emprendedores” è stato introdotto solo per quelle con meno di 50 addetti) e hanno avuto un impatto piuttosto limitato. «La crescita occupazionale continua a essere correlata con un aumento della quota di lavoratori a tempo determinato e, rispetto all'Italia, il contributo all'aumento occupazionale dei lavoratori a tempo determinato è, nell'attuale fase espansiva, nettamente superiore», si legge nell'analisi del Csc.
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