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Clima, accordo a Parigi: soglia per il riscaldamento globale «ben…

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dopo 23 anni di trattative

Clima, accordo a Parigi: soglia per il riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2 gradi»

A Parigi via libera, dopo 23 anni di tentativi fallimentari, a uno storico accordo sul clima. I delegati dei 195 Paesi (più l’Unione europea, per una volta presente con un’unica voce) partecipanti alla conferenza hanno trovato finalmente un’intesa più concreta contro il surriscaldamento del pianeta. «Devo battere con il martello, è un piccolo martello, ma penso che possa fare molto», ha affermato alle 19,26 il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, presidente della conferenza. Il presidente francese François Hollande si è stretto in un caloroso abbraccio con il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, mentre il segretario di Stato Usa John Kerry non riusciva a trattenere le lacrime.

«È l'accordo più completo mai negoziato, con l'obiettivo di mantenere l'aumento la temperatura media mondiale molto al di sotto dei due gradi dei livelli pre-industriali e i Paesi si apprestano a compiere tutti gli sforzi necessari affinché l'aumento non oltrepassi 1,5 gradi, evitando così l'impatto più catastrofico dei cambiamenti climatici», ha detto Ban.

Soglia «ben al di sotto dei 2 gradi»
In realtà la soglia per il riscaldamento globale è fissata «ben al di sotto dei 2 gradi», ma prevede anche un impegno a «fare sforzi per limitare l'aumento a 1,5», in linea con le richieste degli Stati insulari. Il limite inferiore ai due gradi significa riduzione delle emissioni tra il 40 per cento al 70 per cento entro il 2050 rispetto ai livelli del 2010. Sulla riduzione delle emissioni, invece, si va incontro ai Paesi produttori di idrocarburi, a cominciare dall'Arabia Saudita. Il testo non parla di «neutralità carbonica», ma di «equilibrio fra emissioni da attività umane e rimozioni di gas serra», e non fissa una timeline precisa, limitandosi a imporre di «raggiungere il picco il più presto possibile» e poi accelerare per arrivare all'equilibrio «nella seconda metà di questo secolo».

Cento miliardi per i Paesi in via di sviluppo
Molto si dovrà fare per la transizione verso le energie pulite. Sui finanziamenti, il punto più scottante, ai Paesi avanzati viene ribadito l'obbligo di «fornire risorse» per supportare quelli in via di sviluppo, e chiesto di stilare una «roadmap precisa» per arrivare a mobilitare 100 miliardi di dollari l'anno da qui al 2020.

Obama e Renzi su Twitter, Kerry ringrazia la Francia
«Accordo su clima a Parigi è un passo in avanti decisivo. Italia protagonista, oggi e domani #COP21», ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi. «Siamo nella storia. E a questa storia ha contribuito anche l'Italia che sin dall'inizio con tutta l'Europa ha creduto all'obiettivo ambiziosissimo di 1.5 gradi», è stato il commento del ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti subito dopo l'approvazione a Parigi dell'accordo sul clima.

Anche Barack Obama ha usato Twitter per definire «grandioso» lo storico accordo sul clima raggiunto a Parigi. «È grandioso: quasi tutti i Paesi del mondo hanno firmato l'accordo a Parigi grazie alla leadership americana», ha detto il presidente degli Stati Uniti sul suo profilo twitter. E Kerry ha espresso «un ringraziamento particolare alla Francia, che in questo difficile periodo, in cui è stata colpita dal terrorismo, ha mostrato forza e orgoglio, e si è mostrata un esempio contro il terrorismo. Grazie per aver contribuito con forza a questo importante accordo per la salvaguardia del Pianeta».

L'accordo è «un enorme passo per assicurare il futuro del pianeta», ha confermato il premier britannico David Cameron. Questo accordo universale «vuol dire che tutto il mondo ha firmato per assumersi le responsabilità nel contenimento del cambiamento climatico», ha aggiunto.

La comunità internazionale, che ha raggiunto un accordo «senza precedenti» sul clima, deve ora «passare dalle parole ai fatti», fissando un prezzo sulle emissioni di carbonio. Lo ha detto il direttore del Fondo monetario internazionale (Fmi) Christine Lagarde.
«L'accordo di Parigi è un passo fondamentale per affrontare le sfide del cambiamento climatico nel XXI secolo. I governi devono ora passare dalle parole ai fatti», ha esortato Lagarde in una nota.

Perché tra 2 e 1,5 gradi?
Secondo il team internazionale di esperti di Climate Analytics (team di esperti in cambiamenti climatici e in finanza legata al clima), sopra il grado e mezzo le conseguenze nefaste si accentuano, soprattutto nelle regioni tropicali e subtropicali. Tra 1,5 e 2 gradi, infatti, ci sarebbe il passaggio «da eventi che sono al limite dell'attuale variabilità naturale a un nuovo regime climatico». Le conseguenze peggiori ricadrebbero sulle regioni tropicali come Africa occidentale, sudest asiatico e America meridionale. Con un mondo più caldo di tre gradi naturalmente gli effetti si amplificherebbero, 4,5 miliardi di persone sarebbero travolte da ondate di calore, 60 milioni da alluvioni, mentre 1,75 miliardi subirebbero stress idrici. Non sarebbe l'apocalisse, ma per alcune zone del Pianeta sarebbe molto simile

Scienziati e ambientalisti: è solo un primo passo
A diispetto dei toni trionfalistici dei politici l’accordo non è ancora sufficiente secondo scienziati e ambientalisti, ma solo un primo passo per ridurre e magari azzerare entro la seconda metà del secolo le emissioni di gas a effetto serra, soprattutto mettendo un freno ai combustibili fossili e dando slancio alle rinnovabili. Un punto critico riguarda i Paesi vulnerabili. «Non c'è garanzia di assistenza per le persone che subiscono i più gravi effetti del cambiamento climatico», sottolineano i rappresentanti della rete di Ong Climate action network, secondo cui «gli interessi dei più poveri, soprattutto sull'adattamento, sono stati sorvolati» nelle decisioni in ambito finanziario.

Anche per Oxfam, l'accordo è «insufficiente per tutelare più poveri», che rischiano di dover «far fronte entro il 2050 a costi che ammontano a circa 800 miliardi l'anno» e «non scongiura l'aumento delle temperature a 3 gradi entro 2050». Peraltro, a dire che «questo accordo da solo non basta» è anche Greenpeace, secondo cui «contiene un'intrinseca e radicata ingiustizia: le nazioni responsabili del riscaldamento globale hanno promesso un aiuto misero a chi già oggi rischia di perdere la vita e i mezzi di sostentamento a causa dei mutamenti climatici».

Gli impegni alla riduzione di CO2 espressi da quasi tutti i Paesi, «se rigorosamente attuati, sono sufficienti a ridurre soltanto di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni di gas-serra, con una traiettoria di aumento della temperatura globale che si attesta verso i 2,7-3 gradi», osserva anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, secondo il quale «non consentono di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi, e ancor meno al limite di 1,5 gradi».

La comunità mondiale «ha riconosciuto che i rischi del riscaldamento globale sono di gran lunga maggiori rispetto a quanto precedentemente capito, e che la base scientifica che indica la necessità di azioni urgenti non è mai stata più forte», osserva Bill Hare, Ceo di Climate Analytics. Limitare l'aumento medio della temperatura «significa abbattere le emissioni di gas serra a zero in pochi decenni, in linea con le prove scientifiche che abbiamo presentato», sottolinea il direttore del Potsdam Institut per la ricerca dell'impatto del clima, John Schellnhube.

Ecco i punti principali dell'accordo finale della Cop 21:

RISCALDAMENTO GLOBALE - L'articolo 2 dell'accordo fissa l'obiettivo di restare «ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali», con l'impegno a «portare avanti sforzi per limitare l'aumento di temperatura a 1,5 gradi».

OBIETTIVO A LUNGO TERMINE SULLE EMISSIONI - L'articolo 3 prevede che i Paesi «puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile», e proseguano “rapide riduzioni dopo quel momento» per arrivare a «un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo».

IMPEGNI NAZIONALI E REVISIONE - In base all'articolo 4, tutti i Paesi «dovranno preparare, comunicare e mantenere» degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che «rappresentino un progresso> rispetto agli impegni precedenti e «riflettano ambizioni più elevate possibile». I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 «a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni», e chiedono a quelli che già hanno un impegno al 2030 di «comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020». La prima verifica dell'applicazione degli impegni è fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali .

LOSS AND DAMAGE - L'accordo prevede un articolo specifico, l'8, dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non è possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che «potrebbe essere ampliato o rafforzato». Il testo «riconosce l'importanza» di interventi per «incrementare la comprensione, l'azione e il supporto», ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come «base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione».

FINANZIAMENTI - L'articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di «fornire risorse finanziarie per assistere» quelli in via di sviluppo, «in continuazione dei loro obblighi attuali». Più in dettaglio, il paragrafo 115 della decisione «sollecita fortemente» questi Paesi a stabilire «una roadmap concreta per raggiungere l'obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l'anno da qui al 2020», con l'impegno ad aumentare «in modo significativo i fondi per l'adattamento».

TRASPARENZA - L'articolo 13 stabilisce che, per «creare una fiducia reciproca» e «promuovere l'implementazione» è stabilito «un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità».

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