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Libia, un accordo tutto in salita che somiglia a una scommessa

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l’analisi

Libia, un accordo tutto in salita che somiglia a una scommessa

C'è da augurarsi che questa sia la volta buona. E occorre una buona dose di ottimismo per farlo, perché i precedenti non sono incoraggianti. Questa volta, tuttavia, la formazione di un governo di unità nazionale in Libia non è mai stata così vicina.

Il nuovo governo di riconciliazione, annunciato dal Marocco, dove si sono tenuti negoziati serrati tra le diverse anime della Libia, sotto l'auspicio del neo inviato Onu, Martin Kobler, sarà guidato da Faiz al Siraj. Tre rappresentanti di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan -rispettivamente: Saleh Makhzoum, Fathi Bashara e Nuri Balabad - hanno firmato il documento di riconciliazione tra applausi e slogan in favore dell'unità libica lanciati da deputati e attivisti presenti nel palazzo dei Congressi di Skhirat.

Ma la strada , ancora una volta , è tutta in salita. Innanzitutto l'accordo, per quanto siglato da diverse fazioni, sarà davvero rappresentativo delle diverse anime della Libia ? Una serie di attori locali e di milizie, in verità, non sono stati coinvolti – o non hanno voluto esserlo – nella stesura dell'accordo. Di questo gruppo, alcuni detengono il potere in diverse aree del Paese, minacciando così sia la sostenibilità dell'accordo, sia la sua credibilità. Anche l'International Crisis Group si dice prudente di fronte alla possibilità di formare un governo di unità nazionale senza un'ampia base di sostegno politico da parte delle numerose e variegate fazioni libiche. E anche se andasse in porto, come il nuovo esecutivo verrà instaurato a Tripoli, dove, dall'agosto del 2014, la coalizione islamica Fajr Libya (Alba libica) ha conquistato la capitale, spaccando in due il Paese, con due governi che si fanno la guerra? (la Tripolitania è in mano agli islamici che si ispirano ai Fratelli musulmani mentre in Cirenaica, a Tobruk, si trova il governo riconosciuto dalla comunità internazionale).

Senza contare che un gruppo consistente di deputati libici del Parlamento di Tobruk e del Congresso nazionale di Tripoli ha lasciato la sala in cui si doveva tenere la cerimonia della firma dell'accordo per il governo di riconciliazione.

Infine un'altra questione scottante: come e chi gestirà la ricchezza petrolifera? Arturo Varevelli, ricercatore dell'Ispi e profondo conoscitore della Libia offre un interessante analisi. «Ciò che si deve evidenziare è un chiaro cambio di strategia nella conduzione delle trattative: anziché procedere con l'approvazione del piano da parte dei due parlamenti – quello di Tobruk e quello di Tripoli che da ormai 16 mesi si contendono la legittimità – Kobler e le Nazioni Unite hanno imposto quello che vorrebbe essere un processo “bottom up”, ossia la raccolta di un centinaio (o comunque della maggioranza) di firme dei parlamentari dei due congressi, insieme a quelle di rappresentanti locali, leader tribali e membri della società civile. In teoria è una mossa opportuna che rovescia il potere di ricatto che milizie e leadership politiche prive di legittimità stavano imponendo al Paese grazie alla necessità di ottenere un voto favorevole nei due parlamenti».

La cautela è comunque d'obbligo. Perché poco più di due mesi fa, il 9 di ottobre, l'allora inviato dell'Onu per la Libia, Berardino Leon, aveva annunciato un'intesa per il tanto invocato esecutivo di conciliazione, nato sotto l'auspicio delle Nazioni Unite e fortemente voluto dai Paesi occidentali (Italia in testa). La lista doveva tuttavia superare un ostacolo molto difficile: il vaglio dei due governi rivali di Tobruk e Tripoli. In disaccordo su tutto o quasi. Anche sul nuovo primo ministro designato: Fayez Serrai. Il neo premier era ed è un membro del Parlamento di Tobruk, eppure quando ci fu l'annuncio di ottobre non figurava nemmeno nella lista delle persone designate alla prestigiosa carica fatta circolare dallo stesso Parlamento. Come era prevedibile, l'intesa non decollò.

L'ultimo accordo sul nuovo governo somiglia più a una scommessa. Ma tutti gli attori coinvolti – inclusa la comunità internazionale - devono crederci. L'Isis continua a guadagnare terreno nell'ex regno di Muammar Gheddafi, minacciando ora grandi giacimenti di petrolio. Se non si formasse un governo davvero determinato a fermare gli estremisti islamici, il vuoto di potere che seguirebbe sarebbe un altro grande regalo per i sostenitori del Califfato.

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