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Medio Oriente, va in scena il grande ritorno dei gattopardi

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PRIMAVERE ARABE 5 ANNI DOPO

Medio Oriente, va in scena il grande ritorno dei gattopardi

Grande la confusione sotto il cielo del Medio Oriente e nelle cancellerie occidentali e arabe cinque anni dopo l'episodio che innescò le primavere arabe, quando il 17 dicembre 2010 il giovane Mohammed Bouazizi si bruciò per protesta davanti al municipio di Sid Bouzid, dimenticata località della Tunisia profonda. Forse un paio di anni dopo si sarebbe arruolato nel Califfato come hanno fatto altri 5mila giovani tunisini, che costituiscono il maggiore contingente di foreign fighters dell'Isis.

Qual è adesso la strategia degli Stati Uniti che allora con Obama sembravano dalla parte dei giovani radunati nelle piazze Tahrir contro i raìs? Buttare dentro tutti nel campo di battaglia contro l'Isis in modo da evitare di mettere lo stivale a terra e salvare la faccia delle petro-monarchie che hanno finanziato il terrorismo e inviato ovunque nel mondo musulmano gli Imam più radicali ed estremisti, avvelenando le società islamiche musulmane e anche quelle occidentali.

Gli Usa negoziano con la Russia, e quindi anche con l'Iran, l'uscita di scena di Assad e garantiscono sia Israele che i sauditi. Impressionante il silenzio di Gerusalemme: una guerra in casa e gli israeliani, sempre pronti a dire la loro su tutto, che non proferiscono parola, probabilmente hanno un patto con Mosca sul Golan e gli Hezbollah in Libano ma anche con i sauditi perché sono persino circolate le foto di guerriglieri qaedisti di Al Nusra, reduci dai campi di battaglia siriani, curati negli ospedali israeliani.

La coalizione a guida saudita appare un altro fronte anti-sciita per sostituire quello jihadista e dare magari una veste accettabile ai gruppi più radicali sostenuti dalla monarchie del Golfo sia nel Siraq che in Yemen dove Riad utilizza al Qaeda contro gli Houthi sciiti, chiamati chissà perché ribelli quando sono sostenuti anche dall'ex presidente Saleh. Ribelli forse ai voleri di Riad. In occidente la stampa britannica esulta per la coalizione saudita anti-terrorismo, quasi un ossimoro, che però permette di mantenere ricchi contratti e continuare a vendere pezzi di industrie e compagnie europee alle monarchie del Golfo.

Le fazioni libiche firmano l'accordo per il governo di unità nazionale, nato con l'idea di trasferirlo a Tripoli, un evento per ora ancora improbabile. La partizione libica è in atto da tempo ed è forse l'unica che funzionerà: dipende da come si divideranno le risorse e dalla concorrenza per spartire traffici e petrolio con l'Isis. E infine anche l'Italia, che spera di dire la sua sulla Libia, è costretta a mettere piede in Iraq con la storia alquanto confusa di proteggere i lavori alla diga di Mosul: è da vedere se l'Isis e i jihadisti lo permetteranno senza reagire. Ma così vogliono gli americani e Obama per darci uno strapuntino al tavolo dei negoziati e consentirci di portare a casa petrolio e gas nel Mediterraneo, dopo avere strepitato contro i tedeschi per il Nordstream 2 con la Russia. Inutile prendersela solo con questo governo: è assente il Parlamento, è assente un intero Paese, e non da oggi.
Quanto alla Turchia, il vero grande malato dell'Occidente, bisogna tenere in piedi Erdogan al quale forse la situazione è sfuggita dal controllo anche in casa: ma siamo proprio sicuri che sia stato lui a decidere di abbattere il caccia russo? Dovrà accontentarsi del petrolio di Massud Barzani continuando ad accanirsi sui “suoi” curdi. Addio sogni di gloria di un Sultano dimezzato.

La realtà è che tutti adesso cercano di mettere di soppiatto un piede in Siria per potere dire la loro sulla futura spartizione del Paese e del resto della regione: non è detto che la divideranno ma ogni contingente militare proteggerà le proprie maggioranze o minoranze di riferimento settario o etnico. Si evita così di cambiare ufficialmente le frontiere, come si ribadisce a ogni vertice internazionale, e si certifica allo stesso tempo la libanizzazione o la balcanizzazione del Siraq. Quanto alla democrazia, al progresso, alla crescita economica di un'intera regione di disoccupati, se ne parla sempre meno, se non come in uno stanco rituale da ripetere nei meeting di spompati conferenzieri. È la versione del Gattopardo in salsa mediorientale: tutto cambia perché nulla cambi.

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