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Bail-in, Europa al via in ordine sparso

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Bail-in, Europa al via in ordine sparso

  • –Marco Ferrando

MILANO

Da ieri le nuove regole sul bail-in sono vigenti, e quindi uguali per tutti in Europa. Ma fino all’altroieri ogni Stato membro si è mosso come ha ritenuto o potuto. E così l’entrata in vigore della nuova disciplina sui salvataggi bancari si andrà ora ad affiancare a una babele di eccezioni, correttivi e cause legali stratificate negli anni. E destinate a complicare, non poco, la creazione di quel level playing field che – almeno a parole - sta a cuore alla politica, ai regolatori e naturalmente ai banchieri di tutto il continente.

Il piano varato in extremis dal Portogallo per ricapitalizzare per due miliardi il Novo Banco, a spese dei grandi investitori istituzionali, basta da solo a spiegare con quanto timore si guardasse in Europa alle nuove norme sul bail-in: pur di evitare il rischio di un salvataggio a spese dei risparmiatori, la Banca di Portogallo ha preferito una manovra che ha colto di sorpresa e suscitato le ire di soggetti del calibro di Pimco e BlackRock, che ora preannunciano valanghe di azioni legali e che già domani potrebbero lanciare più di un segnale alla Borsa di Lisbona. Il piano adottato per il Novo Banco, nei fatti un secondo salvataggio dopo il primo da 4,9 miliardi di fondi pubblici (autorizzati da Bruxelles) iniettati negli anni scorsi, prevede il trasferimento di due miliardi di obbligazioni senior, quasi interamente sottoscritte dai fondi, al Banco Espirito Santo, bad bank in via di liquidazione che quindi non potrà onorare i debiti, destinati così a essere praticamente azzerati. Visti i paletti posti dalla Commissione europea sugli aiuti di Stato, l’alternativa sarebbe stata quella di coinvolgere i risparmiatori, una mossa che politicamente nessuno in Portogallo – governato da una fragile maggioranza di centro sinistra - ha osato avallare.

Intanto, in Germania si procede con il salvataggio di Hsh Nordbank, la quinta banca regionale tedesca. Storia complessa, e discussa, che inizia otto anni fa con la crisi dei mutui subprime e ha visto un aumento di capitale da 3 miliardi nel 2008, cui si sono aggiunti 10 miliardi di garanzie prestate dalla Città di Amburgo, che insieme con il Land dello Schleswig-Holstein ne controlla l’85,3%; l’ultimo capitolo a novembre, quando la Commissione europea ha autorizzato altri 3 miliardi di garanzie pubbliche per accompagnare la privatizzazione entro i prossimi due anni. Un intervento pubblico, si è osservato in quei giorni tra il Tesoro italiano e la Banca d’Italia, decisamente più invasivo di quello che quasi contemporaneamente la Commissione europea ha stoppato all’Italia, che per Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti aveva elaborato un salvataggio coperto da risorse private attraverso il Fondo interbancario: di qui la necessità di un piano B, con il coinvolgimento dei risparmiatori e l’attivazione di un arbitrato che cercherà di rifondere i più danneggiati nei prossimi mesi, mentre intanto il bail-in è diventato legge.

E gli strascichi legali rimangono sia per i salvataggi attuati dal 2009 in avanti nelle banche spagnole e ancora di più in quelle slovene. Caso circoscritto quanto ad ammontare (cinque banche coinvolte e azzeramento di bond per 445 milioni) ma controverso in punta di diritto: le autorità di Lubiana, infatti, hanno optato per misure di burden sharing prima ancora che fosse legge ma semplicemente sulla base di una comunicazione della Commissione europea del luglio 2013, scatenando una raffica di ricorsi dei risparmiatori che prima hanno interpellato la Corte costituzionale slovena e oggi sono sul tavolo della Corte di giustizia europea.

C’è chi guarda ora con curiosità interesse al destino delle greche Alpha Bank, Euro Bank, Piraeus Bank (recentemente ricapitalizzate con 10 miliardi). Ma anche se queste ultime fossero in salvo è certo che le partite in sospeso in giro per l’Europa rimangono tante, eredità difformi e spesso spinose di quella stagione che ha visto gli Stati iniettare decine di miliardi di euro nelle banche per evitarne il fallimento. Dalla Germania, che ha speso 248 miliardi, fino all’Italia, dove i miliardi sono stati solo quattro e peraltro nel frattempo rientrati (con interessi) nelle casse del Fisco.

.@marcoferrando77

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