Mondo

Teheran, i falchi del regime pronti a rialzare la testa

  • Abbonati
  • Accedi
Gli equilibri nella Repubblica islamica

Teheran, i falchi del regime pronti a rialzare la testa

L'importanza di chiamarsi Khomeini in Iran vuol dire non passare mai inosservato. Hassan Khomeini, 43 anni, indossa come il nonno, il fondatore della Repubblica islamica, il turbante nero dei Seyyed, segno distintivo dei discendenti dalla famiglia di Maometto, porta una barba rossiccia ben curata e si è unito da molto tempo ai riformisti.
A una foto con il nipote di Khomeini, custode del mausoleo di Teheran dedicato all'Imam scomparso, non ha rinunciato neppure una star come Sean Penn. Amico di Mir Hussein Mousavi e Karrubi, i leader dell'Onda Verde del 2009 ancora agli arresti domiciliari, aperto sostenitore del presidente Rohani, ad Hassan Khomeini i Pasdaran hanno vivamente sconsigliato di presentarsi come candidato alle imminenti elezioni per l'Assemblea degli Esperti, l'organo che elegge la Guida Suprema.

Ma non è detta l'ultima parola, che poi sarà quella di Alì Khamenei, la Guida Suprema, il successore dell'Imam alla sua morte nell'89, il garante di un compromesso continuo tra i moderati e la linea dura, tra le diverse fazioni del clero sciita, i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, e le molteplici lobby civili e militari che si disputano il controllo e la distribuzione della ricchezza energetica di una nazione al quarto posto al mondo per riserve petrolifere e al secondo per quelle di gas.
Il problema per la Guida Suprema è come mantenere il potere senza far perdere credibilità al processo elettorale. Hassan Khomeini è popolare, la sua pagina Facebook è frequentata da 100mila followers, è sostenuto dal “padrino” Rafsanjani e dall'ex presidente Khatami, e porta un nome assai ingombrante per farlo liquidare dal Consiglio dei Guardiani che selezionano le candidature elettorali.

L'alta tensione tra sauditi e iraniani si riflette anche all'interno della Repubblica islamica. Sono questi i momenti in cui l'ala dura della rivoluzione regola qualche conto e prepara la campagna per le legislative del 26 febbraio. All'interruzione dei rapporti diplomatici commerciali con Riad, si accompagnano le manifestazioni del venerdì davanti alle moschee, gli slogan contro Usa, Israele e la casa dei Saud.
Con le reazioni di Teheran all'esecuzione dell'Imam sciita Nimr al-Nimr in Arabia Saudita sono riemerse anche le spaccature tra l'ala dura del regime, che ha permesso i raid contro l'ambasciata saudita, e un governo, quello di Hassan Rohani, che conta nervosamente i giorni alla cancellazione delle sanzioni e al ritorno dell'Iran nel giro dell'economia internazionale.

Per lui c'è una buona notizia: per la prima volta in oltre mezzo secolo le entrate fiscali del governo saranno superiori a quelle petrolifere. Quella cattiva è che questo record significativo è dovuto al crollo delle quotazioni del barile e alla guerra sui prezzi, l'altra faccia dello scontro voluto dai sauditi per asfissiare l'economia iraniana.
L'accordo sul nucleare del luglio scorso era stato accolto con entusiasmo dall'opinione pubblica ma non dal settore più radicale del regime: bastava leggere gli editoriali sul quotidiano Kayhan del suo direttore Hussein Shariatmadari, che non è uno qualunque ma un consigliere stretto di Khamenei. Quasi ogni giorno Shariatmadari ha scritto un articolo criticando duramente un'intesa che per i duri e puri della rivoluzione fa troppe concessioni agli stranieri.

Con l'avvicinarsi delle elezioni, gli ultra-conservatori e i Pasdaran usano la questione nucleare e la crisi con l'Arabia per attaccare Rohani e i sostenitori dell'accordo con il Cinque più Uno. Gli avversari dell'apertura all'Occidente hanno sfruttato la rabbia popolare manovrando i gruppi più radicali che hanno dato l'assalto all'ambasciata saudita. Messi spalle al muro dalle manifestazioni anti-saudite, i moderati hanno ceduto la piazza ai duri. Non è un caso che Rohani, in visita in Italia il 25 gennaio, abbia parlato di «sabotatori».

Non dovremmo troppo meravigliarci se avremo qualche sorpresa da Teheran, oltre alle fibrillazioni di Riad, perché nella Repubblica islamica gli equilibri sono assai mobili, soprattutto se le Guardie della Rivoluzione decidessero di rispondere all'Arabia, in maniera anche indiretta sul quadrante del Siraq o yemenita. Per ora gli osservatori lo escludono ma questo è quello che in genere vogliono sentirsi dire gli occidentali: la razionalità degli Stati mediorientali, soprattutto quando sono in guerra, non combacia esattamente con quella europea o americana.

© Riproduzione riservata