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Petrolifere Usa a rischio crack

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Petrolifere Usa a rischio crack

  • –Marco Valsania

NEW YORK

Lo spettro delle bancarotte si aggira tra i pozzi di petrolio, o meglio tra i campi della fratturazione idraulica che in anni recenti sono stati protagonisti del boom e oggi vivono una crisi davvero nera. Il pronostico più drammatico è della società specializzata Wolfe Research: almeno un terzo delle società Usa che pompano greggio potrebbe ben presto - entro metà 2017 - essere costretto a chiedere la protezione dei creditori o dichiarare fallimento. L’unica possibilità di salvezza, per decine di gruppi, appare alla stregua di un miraggio nel sempre più arido deserto della domanda: un prezzo dell’oro nero che risalga ad almeno 50 dollari al barile.

Quel prezzo è quasi doppio rispetto alle quotazioni attuali, che flirtano con i 30 dollari, e più che doppio rispetto alle attese delle grandi banche. La direzione del mercato, stando a Goldman Sachs, Morgan Stanley e Citigroup, è verso i 20 dollari al barile, con poche speranza di un’inversione di rotta all’orizzonte. Effetto combinato della brusca frenata della Cina - dove Wall Street teme la vera crescita sia ormai crollata al 2-4% - del rafforzamento del dollaro - la valuta di riferimento per i barili - e della continua sovrapproduzione mondiale - della quale con l’Opec è responsabile proprio l’esercito di compagnie statunitensi.

Morgan ha tacciato il clima nel settore come «peggiore dal 1986», anno dell’ultimo grande crollo petrolifero, e forse il peggiore dal 1970. I budget delle aziende dovrebbero essere più che dimezzati, sotto i 90 miliardi l’anno, rispetto al 2014. Proprio ieri, in un riflesso della necessità di trovare nuovi sbocchi, è partita dal Texas la prima consegna estera di greggio americano frutto dell’eliminazione di un divieto all’export che durava da 40 anni.

I sintomi della crisi, tra piccoli e grandi re del cosiddetto shale oil, il greggio ricavato dalla tecnologia della fratturazione di strati rocciosi che ha reso sfruttabili nuovi giacimenti, si sono moltiplicati. Ben 36 società, finora le più deboli, hanno portato l’anno scorso in tribunale libri gravati di oltre 13 miliardi in debiti. E agli attuali prezzi, ha calcolato AlixPartners, le perdite collettive delle compagnie di ricerca ed estrazione di gas e greggio in Nordamerica aumentano ormai al ritmo di due miliardi alla settimana. Sempre collettivamente solo le 134 imprese del settore quotate in Borsa sono schiacciate da debiti a lungo termine che l’anno scorso avrebbero raggiunto i 353 miliardi, sempre secondo AlixPartners.

Una montagna cresciuta a dismisura negli anni del boom per finanziare la frenetica caccia all’oro nero e che oggi è diventata una condanna: gruppi quali Sandridge, Energy XXI e Halcon hanno usato oltre il 40% delle entrate nel terzo trimestre per pagare gli interessi. Gli avvoltoi, intanto, si aggirano sulla crisi annunciata: fondi di private equity hanno mobilitato oltre cento miliardi per spartirsi le probabili spoglie.

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