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AFRICA

L’Onu denuncia: in Burundi massacri etnici, torture e stupri collettivi

L'Onu ha denunciato oggi l'esistenza di massacri etnici e stupri collettivi in Burundi, paese piombato dalla fine di aprile dell'anno scorso in una grave crisi politica dopo l'annuncio della decisione del presidente Pierre Nkurunziza di ricandidarsi per un terzo mandato, il successivo colpo di stato il 13 maggio e le elezioni politiche che poi ha vinto nel luglio 2015.

Gli oppositori accusano il presidentissimo Nkurunziza di violazione della Costituzione e degli accordi di Arusha che hanno messo fine alla guerra civile durata dal 1993 al 2006, che ha provocato migliaia di morti e di rifugiati tra hutu e tutsi.

Il commissario delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo Zeid al Hussein ha denunciato «violenze sessuali commesse da membri delle forze di sicurezza e un considerevole aumento delle persone scomparse e torturate». L'Onu aprirà un’inchiesta «sull'esistenza di almeno nove fosse comuni» nella capitale Bujumbura e nei suoi dintorni, in un campo militare, scoperte attraverso foto satellitari. Il commissario Onu ha detto che sono stati documentati almeno «13 casi di violenza sessuale contro delle donne, avvenute durante operazioni di rastrellamento e arresti che hanno avuto luogo dopo gli avvenimenti di dicembre nei quartieri percepiti come abitati da sostenitori dell’opposizione».

Lo scenario che sarebbe «simile in tutti i casi: le forze di sicurezza sarebbero entrate nelle case delle vittime, avrebbero separato le donne dagli altri membri della famiglia e avrebbero abusato di loro, e in alcuni casi sottoponendole a stupri collettivi».

Una situazione allarmante, secondo l’Onu, che si va ad aggiungere al «numero crescente delle sparizioni forzate, all'esistenza di luoghi segreti di detenzione e di fosse comuni». Le violenze degli ultimi mesi in Burundi hanno già fatto centinaia di vittime e spinto oltre 200mila persone a fuggire dal paese.

Secondo la ong Movement for Human Rights and Ligue Iteka, almeno 154 civili sarebbero stati uccisi nelle ultime settimane dopo essere stati arrestate nei quartieri ritenuti ostili al presidente dittatore nei dintorni della capitale. Il Burundi paese nella regione dei grandi laghi, ha il 6% delle riserve mondiali di nickel. Il tasso di corruzione è tra i più alti al mondo e c’è un elevato tasso di povertà che esaspera la gente. Ex colonia tedesca e poi belga, è indipendente dal 1962. Ma conosciuto diversi colpi di stato e scontri etnici tra hutu e tutsi finiti in veri e propri genocidi.

Pierre Nkurunziza è al potere dal 2005 con la nuova Costituzione che ripartisce il potere equamente fra hutu e tutsi. Nkurunziza ha governato indisturbato in questi anni con un potere pressoché illiminato che lo avvicina più a un dittatore che a un presidente di un paese democratico. «Andare in Burundi oggi è come andare all’inferno», ha raccontato di recente un diplomatico americano. Il Paese è allo sbando e l’Onu con il suo immobilismo rischia di coprire le violenze, come già successe in Ruanda negli anni Novanta.

Negli ultimi due mesi gli omicidi politici e la violenza etnica sono aumentati in modo preoccupante. In una memoria presentata il 6 gennaio al Consiglio di sicurezza Onu, il responsabile della forza di pace Ua/Onu, Hervé Ladsous, denuncia l’orrore perpretato dai militari di Nkurunziza sulla popolazione e la difficoltà dei contingenti di peacekeeping: «La capacità delle Nazioni Unite di mantenere la pace è limitata, incapace di affrontare le violenze contro i civili e le violenze genocide»» si legge nel documento. Oltre al terrore per le violenze dei militari, è in atto una crisi umanitaria: mancano i generi di prima necessità, cibo e medicinali.

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