
«Il governo ha deciso di prepararsi al peggio - titola il quotidiano economico russo Rbc - ma non sa come». E intanto il peggio sembra sempre più vicino: per gli investitori, il legame tra Russia e petrolio è immediato. Il giorno dopo l’allarme lanciato dal primo ministro Dmitrij Medvedev, sulla scia di tutti gli altri mercati, la Borsa di Mosca ha reagito alla discesa del petrolio sotto quota 30 dollari al barile (minimi di 12 anni) con uno scivolone del 6%, per arrivare al livello più basso dal 17 dicembre 2014, a 851,62 punti. Gazprom, primo produttore al mondo di gas naturale, ha perso il 3,9% dopo aver riportato per il terzo trimestre 2015 una perdita netta di 2 miliardi di rubli (26 milioni di dollari).
La moneta russa, in calo sul dollaro a 77,82 rubli, negli scambi con l’euro ha scavalcato la soglia degli 85 rubli per la prima volta da quel terribile dicembre 2014, quando la Banca centrale, per salvarlo, fece scattare i tassi di interesse di 6,5 punti percentuale in una notte. Da allora Bank Rossii ha cercato di ridurre gradualmente il costo del denaro e gli interventi sul rublo, per non prosciugare le riserve.
Ma i margini per il governo Medvedev, che ricava dalla vendita di gas e petrolio la metà circa delle proprie entrate, sono sempre più stretti. Da Vladimir Putin allo stesso Medvedev, ad Anton Siluanov, il ministro delle Finanze, nessuno più nasconde la gravità della situazione, e la necessità di rimettere mano a un budget calcolato, in autunno, su un petrolio a 50 dollari. Mercoledì Siluanov ha preannunciato ulteriori tagli alla spesa, del 10%, mentre l’inflazione vicina al 13% appesantisce i sacrifici che il Cremlino - già in modalità elettorale, tra le parlamentari di fine anno e le presidenziali del 2018 - avrebbe volentieri rinviato. Un assaggio delle proteste che potrebbero seguire è venuto ieri da Sochi e Krasnodar, dove gruppi di pensionati hanno bloccato la circolazione per contestare la riduzione delle agevolazioni nel trasporto pubblico.
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