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Super-petroliere iraniane già pronte a salpare per ridare slancio…

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Super-petroliere iraniane già pronte a salpare per ridare slancio all’export

Con la revoca delle sanzioni contro l’Iran, cosa potrebbe accadere? Non senza una profonda inquietudine, i maggiori Paesi esportatori di greggio, già alla prese con quotazioni ai minimi e con gravi difficoltà di bilancio, si pongono la stessa domanda.

Le 13 super petroliere iraniane, già cariche di greggio e pronte a salpare, non sono un buon segnale per chi sperava in un rialzo delle quotazioni. In verità l’Iran sta già aumentando le sue esportazioni rispetto ai periodi più difficili. Come maggio 2013 quando, stritolato dall’embargo petrolifero, era riuscito a vendere all’estero solo 700mila barili al giorno (bg), il minimo da decenni e circa un quarto rispetto ai volumi esportati nel periodo pre-sanzioni (2011). Questo mese, secondo una fonte dell’industria petrolifera citata da Reuters, Teheran dovrebbe arrivare a vendere 1,1 milioni di barili al giorno (mbg). Se la stima si avverasse si tratterebbe di 300mila bg in più rispetto ai volumi di ottobre e il 21% in più rispetto a dicembre.

Ostentando un ottimismo forse eccessivo, Teheran ha ribadito che, senza sanzioni, sarebbe immediatamente capace di aumentare il suo export di 500mila barili al giorno. Aggiungendo altri 500mila bg entro sei mesi. L’Agenzia internazionale dell’Energia è più cauta, indicando in 500mila bg il petrolio che l’Iran potrebbe esportare in più entro sei mesi (la britannica Barclays parla invece di 700mila bg nel quarto trimestre dell’anno).

Il problema, non da poco, è chi comprerà questo greggio. I mercati del petrolio stanno vivendo un periodo dominato da un eccesso produttivo, la causa principe del crollo verticale delle quotazioni, cadute dai 115 dollari al barile del giugno 2014 a meno di 30 in questi giorni.

Anche se si trattasse di 300-500mila bg in più, il ritorno del terzo esportatore mondiale di greggio, detentore delle quarte riserve mondiali, rischia di avere un ulteriore effetto deprimente sulle già basse quotazioni. Poco importa. Per Teheran l’importante è vendere. A tutti i costi. Occorre rimpinguare le casse del Governo, messe a dura prova non solo dalle sanzioni ma anche dalla campagna militare in sostegno del regime siriano. Per un Paese che dalle vendite di greggio ricava l’80% dell’export, il colpo inferto dalle sanzioni è stato davvero duro. Nel 2013 l’emorragia per le casse iraniane era stata drammatica: ogni mese quasi 5 miliardi di dollari in meno.

La Repubblica islamica intende dunque recuperare parte delle perdite e allinearsi agli altri Paesi Opec che stanno producendo quanto più possono. L’Iraq, per esempio, sta esportando quasi 3,5 mbg, un livello che non si vedeva da circa 30 anni. E Teheran non ha certo gradito i clienti che Baghdad gli ha “sottratto”. È dunque decisa a ritornare sui mercati asiatici, dove alcuni Paesi (tra cui Giappone, Corea del Sud India e Cina,) avevano già usufruito di un “permesso” dagli Usa, una moratoria per importare limitate quantità di greggio iraniano anche sotto embargo. Oltre alla Cina, storico primo importatore di greggio iraniano, l’Iran sta puntando all’India, il mercato asiatico con la crescita della domanda petrolifera più sostenuta. L’obiettivo sarebbe di aumentare subito le vendite di 200mila bg.

Non solo Asia. L’Iran punta anche all’Europa, a cui vendeva 800mila bg prima che, il 1° luglio del 2012, scattasse l’embargo europeo. Italia, Spagna e Grecia sono i tradizionali acquirenti del greggio iraniano. Ma resta sempre quell’eccesso produttivo. Per vincere la concorrenza dovrà praticare degli sconti sui già bassi prezzi. Con buona pace per chi sperava di rivedere il barile tornare sopra 50 dollari.

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