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Cina e petrolio chiamano, la Bce per ora non risponde

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Asia e Oceania

Cina e petrolio chiamano, la Bce per ora non risponde

  • –Maximilian Cellino

Dalla Cina al petrolio e dal petrolio di nuovo alla Cina. È davvero senza soste il passaggio di testimone fra le responsabilità alla base della crisi che da inizio anno ha già sottratto ai mercati finanziari oltre 5mila miliardi di euro. Al di là dell’impatto dirompente sui listini, è evidente che queste due fonti di tensione un risultato lo hanno già determinato: esercitano entrambe un effetto deflazionistico evidente sulle economie avanzate, che non lascia indifferenti le banche centrali. Così c’è già chi fra gli analisti pensa che la Fed possa rimandare la seconda stretta (attesa per marzo) e chi soprattutto inizia a puntare le antenne verso la Bce di Mario Draghi.

Quest’ultima torna a riunirsi a Francoforte proprio domani dopo l’incontro dall’esito deludente (secondo i mercati) di dicembre e lo fa in un momento davvero delicato. I segnali inviati dalle attese sull’inflazione fra 5 anni e per i successivi 5 sono inequivocabili: negli ultimi giorni l’indicatore preferito dall’Eurotower per orientare la politica monetaria è tornato all’1,58%, ben distante dall’obiettivo ufficiale (sotto, ma vicino al 2%) e soprattutto ai livelli di un anno fa e di fine settembre.

Non certo due date casuali, perché in entrambi i casi Draghi ha premuto l’acceleratore, prima lanciando e poi potenziando il «qe», dando ai mercati l’impressione (effimera) di riuscire a ricondurre i prezzi sul binario giusto. Ora il petrolio (e in misura inferiore il rallentamento innescato dalla Cina) sta di nuovo mettendo i bastoni fra le ruote della Bce, che a breve potrebbe trovarsi ancora una volta con un inquietante segno «meno» di fronte all’inflazione euro.

Anche per questo l’attesa per la riunione di domani è cresciuta, stavolta però il mercato ha forse imparato la lezione di dicembre e sembra non volersi sbilanciare. Draghi potrebbe quindi prendere atto a parole dell’aumento dei rischi di deflazione, ma difficilmente passera ai fatti: troppo vicina l’ultima mossa, troppo ghiotta l’occasione del 10 marzo (quando con le nuove proiezioni dello staff si capirà che l’obiettivo di un’inflazione all’1% nel 2016 è utopia) e forse ancora troppo forte l’opposizione dei «falchi».

Non si molla però la presa. Secondo un sondaggio di Bloomberg il 60% degli economisti si attende un altro passo in avanti dall’Eurotower da qui a fine anno: un’espansione del piano di riacquisti (ora 60 miliardi al mese) oppure un nuovo taglio del tasso sui depositi (-0,30%), a marzo o giugno. Questione di tempo, insomma, ma le «scommesse» su nuove mosse targate Draghi sono destinate inevitabilmente a ripartire, e a condizionare anche i mercati.

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