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Bce, mossa obbligata dopo la bufera di gennaio

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L’ANALISI

Bce, mossa obbligata dopo la bufera di gennaio

Occorreva correggere le aspettative dei mercati sulla politica monetaria. Perché giocassero a suo favore. È proprio questo che la Banca centrale europea ha cercato di fare ieri, dopo aver deluso gli investitori a dicembre. Il presidente Mario Draghi ha quindi annunciato che «i tassi resteranno al livello attuale o più basso per un periodo esteso di tempo» e ha spiegato che sarà «necessario rivedere e forse riconsiderare il nostro orientamento di politica monetaria alla prossima riunione di inizio marzo, quando saranno disponibili le nuove proiezioni macroeconomiche che contempleranno anche il 2018». Gli interventi possibili, ha aggiunto, sono «senza limiti tecnici», a parte il rispetto del Trattato.

Non è una promessa ma è un annuncio importante. Innanzitutto perché il board è stato unanime nella decisione di lanciare questo messaggio: anche i “falchi”, evidentemente, si sono espressi in questo senso. Poi perché a inizio dicembre la revisione della politica monetaria - il taglio dei tassi, il prolungamento del quantitative easing, il reinvestimento dei titoli in scadenza - aveva deluso gli investitori che si aspettavano molto di più. La correzione delle aspettative dei mercati, in quell’occasione, ha portato probabilmente a un risultato opposto a quello che la Bce cercava: un irrigidimento delle condizioni finanziarie.

Ora la Bce è costretta a rivedere le proprie decisioni, prese anche per non dare l’impressione - rivelano le minute - di essere troppo dipendenti dal giudizio dei mercati. Il suo non è però il riconoscimento di un errore: «Quelle decisioni - ha detto Draghi - erano interamente appropriate, tenuto conto delle circostanze». Molte cose sono effettivamente accadute nel frattempo: dalla data in cui sono state elaborate le proiezioni di dicembre il petrolio è calato del 40%, è cresciuta l’incertezza sulle economie emergenti, è aumentata la volatilità i mercati finanziari e delle materie prime, così come - spiega il comunicato introduttivo alla conferenza stampa - i rischi geopolitici.

Tutto questo ha inciso su un particolare tipo di aspettative: quelle relative all’inflazione, che per una banca centrale sono più importanti dell’inflazione registrata (e relativa al passato). Tutte le misure di queste aspettative, ha spiegato Draghi, sono calate, mentre è aumentata la correlazione tra queste attese e l’inflazione effettiva da una parte e il prezzo del petrolio dall’altra. Anche se il legame statistico non implica necessariamente un rapporto causa-effetto, non è arduo immaginare sul piano della logica economica che ulteriori cali del greggio facciano raffreddare le aspettative e queste frenino i prezzi.

«Ci attendiamo ora che l’inflazione resti a livelli molto bassi o negativi nei prossimi mesi e che risalga solo più avanti nel 2016», spiega quindi il comunicato, mentre il presidente ha aggiunto - per argomentare la necessità di tener conto anche dei volatili prezzi del petrolio, che qualche economista invita a ignorare - che «sulla core inflation non ci sono molte ragioni per essere ottimistici, e sui salari, in Eurolandia ancora abbastanza legati all’inflazione, non ci sono molte ragioni per essere ottimistici».

A rafforzare il messaggio della Bce con un po’ della retorica che lo ha spesso assistito, il presidente Draghi ha più volte spiegato che la Banca centrale europea ha «il potere, la volontà e la determinazione» per fare di più, «anche, anzi di più - ha poi aggiunto - di fronte a un ambiente sfavorevole». In questo senso ha escluso ogni revisione dell’obiettivo di inflazione, da più parti proposto: «Noi non ci arrendiamo», ha concluso.

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