DAVOS
L’economia globale vede dei «rischi all’orizzonte maggiori del previsto». Lo ha detto il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, a margine dei lavori del Forum economico mondiale a Davos.
La Lagarde, che ha parlato dei rischi finanziari globali al Wef, ha identificato tre minacce principali: il calo dei prezzi del petrolio; il rallentamento della crescita economica in Cina; e una politica monetaria asincrona, che passa dall’inasprimento atteso della politica monetaria della Fed americana in un momento in cui molti altri Paesi stanno allentando le condizioni monetarie. Queste prese di posizione del direttore dell’Fmi giungono proprio in mezzo a un periodo di crescente volatilità del mercato, con il prezzo del petrolio ai minimi da mesi e con rinnovati timori sull’entità del rallentamento in Cina, la seconda economia più grande del mondo. Tutti elementi che hanno trascinato a fondo le borse quest’anno.
Kenneth Rogoff, docente ad Harvard, punta il dito sul rallentamento della Cina. «Se ci fosse un severo rallentamento a Pechino e nei mercati emergenti allora sarebbe uno scenario preoccupante. Quello che mi preoccupa è il dato dei consumi di energia in Cina, che stanno praticamente collassando, e non credo che il Paese possa crescere del 6,5% nel 2016. Questa cattiva notizia avrebbe effetti di contagio in Russia, Australia, Canada, Sudamerica, Brasile in particolare; tutti Paesi esportatori di materie prime», spiega Rogoff, autore di un famoso libro con Carmen Reinhart sulla crisi dei debiti sovrani. Reinhart è convinta che i tassi bassi troppo a lungo possano favorire una nuova crisi dei debiti pubblici nei mercati emergenti e il maggior sospetto è il Brasile . «I prezzi del petrolio basso non mi preoccupano – dice Rogoff controcorrente – e l’ingresso dell’Iran nel mercato petrolifero è un buon segno. Se ci fossero dei fallimenti di qualche società energetica americana dello shale oil non sarebbe un problema perché gli Usa sono una economia molto diversificata».
Nouriel Roubini, mister Doom, che predisse la crisi del 2008 è di parere avverso e punta l’indice proprio sulle bancarotte delle società dell’energia Usa impegnate nell’estrazione delle scisti bituminose che potrebbero, come i subprime del 2008, far da detonatore per una nuova crisi finanziaria non pagando i debiti alle banche americane.
Anche Moises Naim, economista e membro dell’International Economics Program del Carnegie Endowment for International Peace, nei corridoi del Wef dice che tutto dipende dalla Cina. «Se dovesse imboccare una strada dove il tasso di crescita è inferiore a quello degli ultimi 25 anni, cioè dal 1990, Pechino potrebbe trovarsi nella tempesta perfetta domestica in un contesto dove i mercati internazionali stanno creando ostacoli prolungati e pericolose fragilità». Martin Wolf, economista di Ft, getta acqua sul fuoco ed esclude che siamo di fronte a una nuova crisi ma che si tratta solo di volatilità. «Una crisi arriva di norma ogni 40 anni e prima del crollo si passa da un lungo e felice periodo di euforia. Ma io non ho visto nessuna euforia prima che possa giustificare una nuova crisi finanziaria. Insomma non è il nostro caso». Naturalmente Wolf ammette che ci sia volatilità nei mercati ma questo è provocato dalle turbolenze legate al rallentamento cinese, al calo delle materie prime e del prezzo del petrolio in particolare, alle difficoltà delle società americane legate al settore energetico dello shale oil e ai relativi crediti in sofferenza di queste imprese verso le banche americane. «Certo, il petrolio potrebbe andare a 20 dollari o anche a 15. Ogni cosa è possibile, ma nessuno lo sa».
Nel concordare con alcune recenti previsioni, il premio Nobel per l’Economia Edmund Phelps vede in un’ulteriore discesa dei prezzi del greggio anche un rischio per le banche Usa esposte all’oil. «Una situazione come quella attuale era inimmaginabile nei decenni scorsi quando si pensava che meno costava il petrolio e meglio era, perché i prezzi alti pesavano sui costi di produzione di quasi tutti i settori», ha rilevato Phelps, interpellato a margine del World Economic Forum. Molte istituzioni finanziarie stavano puntando su una ripresa dei prezzi del petrolio e invece i prezzi sono andati nel verso opposto, osserva il premio Nobel, ricordando che ultimamente le previsioni puntano a prezzi bassi «per i prossimi due o tre anni». Questo è un rischio per «le banche Usa che hanno dato prestiti al settore petrolifero e assunto posizioni speculative sul greggio. Saranno danneggiate. Spero che non ci saranno fallimenti e altri bail-out».
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