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Tutti contro Renzi ma Bruxelles e l’Ue non trovano sponde nei partiti…

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Europa

Tutti contro Renzi ma Bruxelles e l’Ue non trovano sponde nei partiti italiani

In fondo è su questo che fa leva Matteo Renzi. Sul fatto che non ha, come accadeva a Silvio Berlusconi fino al 2011, un partito europeista che gli fa opposizione ma quasi tutti sono ormai o nati euroscettici o convertiti a un europeismo quantomeno critico. Insomma, se il centro-destra ha avuto un centro-sinistra – e dopo un Pd – che combatteva al fianco di Bruxelles, di Parigi o di Berlino, oggi questo non accade.

Nel senso che l’Europa non ha più una sponda politica italiana solida e con un forte consenso popolare attraverso la quale far sentire le sue ragioni, il suo punto di vista. Un interlocutore doveva essere il partito di Monti ma è andata male. E oggi anche il Pd di Renzi non risponde più alle logiche di qualche anno fa.

Oggi in Parlamento si combatte contro il premier ma non per l’Europa. Si dà battaglia a Renzi per vedere se alla fine riuscirà a spuntare qualcosa e addebitargli la sconfitta se lo scontro sarà stato vano. Ma, allo stato, nessun partito assume su di sé la visione che proietta Juncker. Non sulla politica economica, non le incertezze e il caos sull’immigrazione, non le divisioni sulla politica estera.

In qualche modo la nuova linea del Pd inaugurata da Renzi sposta indietro la trincea italiana sul fronte dell’europeismo facendo del Paese quello con più filoni di euroscetticismo: c’è il 5 Stelle e la Lega ma ci sono pure le critiche di Forza Italia e della sinistra che l’Europa non la vogliono così com’è.

Ecco questo può essere un vantaggio per il premier che non ha una spina nel fianco come Berlusconi l’aveva nel centro-sinistra, ma questo suo scarto rispetto alle politiche precedenti mette comunque a rischio due cose. La prima è l’identità del nuovo Pd: fino a dove si spingerà la battaglia con l’Europa? Fino all’euroscetticismo? Fino, cioè, a cambiare uno dei tratti identitari del partito? E l’altro rischio riguarda il fatto che se dall’incontro con la Merkel del 29 gennaio non riuscirà a sbloccare alcune delle partite che interessano il Governo per lui la sconfitta sarà doppia, a Roma e a Bruxelles.

In qualche modo Renzi diventa “l’avamposto” di una battaglia con l’Europa. Attraverso il suo braccio di ferro anche gli altri partiti verificheranno fino a che punto ci si può sporgere senza poi dover pagare i danni. È come se ora il premier mettesse in pratica quello che finora - a sinistra come a destra - gli euro-critici hanno solo predicato ingaggiando un vero duello contro Berlino e Bruxelles. Finora ci sono stati pochi esempi in Europa. Certo, c’è stata la Grecia di Tsipras ma era un’altra vicenda, molto più estrema, in cui era in ballo la stessa sopravvivenza dell’euro.

E comunque anche quella partita - nonostante la drammaticità - non è servita da esempio se in Spagna è arrivato un terzo incomodo euroscettico – Podemos - tra i due partiti tradizionali europeisti, i socialisti e i popolari. E se in Francia alle scorse amministrative i socialisti hanno dato indicazione di votare il centro-destra pur di fermare l’avanzata di Marine Le Pen al ballottaggio.

Ecco questa di Renzi è una battaglia che nasce in Italia ma che stanno guardando anche altrove con molta attenzione.

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