
NEW YORK - Le stelle letterarie, di questi tempi, sono rare. Assai più raro è immaginare nei panni di rock star il traduttore di un’opera. E per di più da una lingua che, per quanto amata e celebrata, appare “minoritaria” nel panorama internazionale del business dell'editoria, quale l’italiano. Proprio questo è invece accaduto, un po’ per talento e un po’ per caso, a Ann Goldstein. Il caso ha voluto che si imbattesse in uno dei maggiori successi letterari degli ultimi anni in America: la serie di romanzi della saga l'Amica geniale di Elena Ferrante. La combinazione con il mistero che circonda l'identità dell'autrice ha fatto il resto, trasformando Goldstein anche in un istantaneo surrogato d'eccezione: il Wall Street Journal, che le ha dedicato un profilo, ha raccontato di un appuntamento lo scorso settembre in una libreria di Brooklyn, BookCourt, per il lancio dell'ultimo romanzo della serie, Storia della bambina perduta, dove la traduttrice era in realtà l'ospite atteso con ansia da una folla di oltre 300 fan a caccia di autografi.
Il caso ha voluto che anche una seconda sorpresa letteraria, in arrivo quest'anno, avesse al centro l'italiano: la scrittrice americana e premio Pulitzer Jhumpa Lahiri, reduce da tre anni di soggiorno a Roma, ha adottato l'italiano per il suo nuovo capitolo creativo. Un suo volume di memorie, In Other Words, è in uscita agli inizi di febbraio: la versione originale, italiana, scritta da Lahiri; la traduzione inglese a fronte firmata da Goldstein.
Un secondo debutto, quello di Lahiri, che desta scalpore: sono insoliti gli autori che, a la Joseph Conrad, si cimentano fuori dai confini della madrelingua. Mosche bianche sono coloro che lo fanno avendo imparato una sintassi straniera da adulti e in pochi anni. Per Lahiri, nota per i suoi romanzi e racconti, si tratta oltretutto del primo volume apertamente autobiografico. Descritto come un tentativo di scoprire una inedita libertà espressiva lontana dall'inglese, lingua che la fa sentire in colpa e prigioniera, e il bengali della sua famiglia, che non le è mai appartenuto.
Il talento di Goldstein, invece, non è affatto casuale. E' il risultato di una lunga e finora schiva carriera di professionista della parola, coltivato in seno al giornalismo di qualità (e oggi siamo anche qui nella rarita'). A 66 anni è una veterana editor della prestigiosa rivista New Yorker. Il responsabile del desk di copy editing, quell'arte in declino nell'era dei social media che è la cura del testo. E la favorita di scrittori e giornalisti per la sua abilità nel modulare le frasi con precisione, grazia ed efficacia. “Una tagliatrice di diamanti”, l'ha definita l'attuale direttore della rivista, David Remnick. La sua passione per l'Italia l'ha coltivata lontano dalle sue coste - non l'ha ancora mai visitata - in ufficio, studiando la lingua con alcuni colleghi e cominciando dalla lettura della Divina Commedia.
Da qui è nato anche il suo incontro con la prosa italiana come opportunita' di traduzioni: nel 1992 volse in inglese per l'allora direttore della rivista un racconto di Aldo Buzzi. Fino, di recente, alla celebrità: una neonata casa editrice, Europa Editions, le chiese di sottoporre uno stralcio di traduzione del primo libro della Ferrante, I giorni dell'abbandono. La sua versione fu scelta battendo la concorrenza di traduttori affermati. Negli ultimi anni Goldstein è diventata sempre più ricercata: da poco ha completato la supervisione di un progetto che si è cimentato con l'opera integrale di Primo Levi, 14 volumi e 3.000 pagine.
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