
È già finita la luna di miele tra il nuovo presidente dell'Argentina, Mauricio Macri, e i cittadini. O forse no. Di certo sul tavolo c'è la prima grana, la trattativa con i detentori di tangobond, i famosi holdouts. Proprietari di titoli di Stato caduti in default nel 2001.
Dopo anni di contese giudiziarie, dispute territoriali e grandi attori in campo (governo argentino, governo americano, Tribunale di New York, Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale) pareva si approdasse verso un accordo in tempi rapidi.
Lo schieramento dei richiedenti è composito e il rischio, altissimo, è che la trattativa sia faticosa, certamente non rapida. Il ministro delle Finanze argentino, Luis Caputo, nelle scorse settimane a New York per avviare la trattativa, si è subito reso conto di quanto complessa sia la vicenda.Tra gli holdouts ci sono due schieramenti: il primo è di coloro che non hanno fretta, vorrebbero incassare tutto il valore nominale dei titoli scaduti, oltre alle penali per il ritardo. Tra questi vi è il fondo Nml Elliot di Paul Singer e il fondo Aurelius di Mark Brodsky. Ebbene, questo primo gruppo non ha fretta di incassare; ritiene che la sentenza del giudice Thomas Griesa prima o poi debba venire onorata. Griesa aveva stabilito che ci dovesse essere un rimborso completo.
Il secondo gruppo di holdouts , i cosiddetti “me too”, vorrebbero invece chiudere la partita più rapidamente. Si tratta di quella quota di obbligazionisti che ha accettato, in passato, un accordo con l'ex governo argentino di Cristina Fernandez de Kirchner. Ma ora, dopo la sentenza di Griesa, vuol recuperare ciò che ha concesso nella trattativa ormai chiusa. Un’operazione consentita dalla clausola “me too”. L’ammontare complessivo che il governo dovrebbe quindi sborsare salirebbe a circa 9 miliardi di dollari. Una cifra enorme che Macri ha quantificato in 2 punti percentuali di Pil argentino.Troppo per un Paese con un’economia da rilanciare e con i prezzi delle materie prime agricole, di cui è forte produttore, ancora molto bassi.
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