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Sulla flessibilità si gioca la manovra 2017

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Europa

Sulla flessibilità si gioca la manovra 2017

  • –Dino Pesole

Se la partita sulla flessibilità, come certifica Angela Merkel senza offrire sponde all’Italia, la si gioca unicamente con la Commissione (e la Germania «ne prende atto»), il percorso da qui a maggio si prospetta per buona parte in salita. L’appuntamento è con il responso definitivo di Bruxelles sulla legge di stabilità. Visto da Berlino, il problema è che esistono diverse “interpretazioni” sulla comunicazione della Commissione Ue del 13 gennaio 2015. Come dire che ogni paese legge la flessibilità a proprio uso e consumo. Quando si entra su questo terreno, la variabile decisiva è tutta politica e non è detto che le dure polemiche delle scorse settimane tra Roma e Bruxelles sortiscano l’effetto sperato. Al pari del riferimento di Renzi all’«accordo politico» che ha condotto all’elezione di Jean-Claude Juncker, di cui farebbe parte proprio il tema della flessibilità. Con quali rischi?

Dato per scontato il via libera all’ulteriore 0,1% di flessibilità chiesto dal Governo in applicazione della clausola sulle riforme (che va ad aggiungersi allo 0,4% già autorizzato), è probabile che alla fine si raggiunga un’intesa (con diversi caveat) anche sullo 0,3% di flessibilità per gli investimenti. Restano sub iudice gli ulteriori 3,3 miliardi di flessibilità che il Governo si è attribuito «motu proprio» con la cosiddetta clausola migranti. Fondi diretti alla sicurezza e alla cultura, con annesso il discusso «bonus musei» ai diciottenni. Una decisione sulla quale la Commissione europea ha già avanzato informalmente dubbi e perplessità. E da Berlino sul punto non è giunta alcuna apertura. In sostanza, per Bruxelles - che tra breve renderà note le sue nuove previsioni macroeconomiche - il punto di riferimento resterebbe ancorato a un deficit 2016 pari al 2,2% del Pil. Per tutta risposta, il Governo con ogni probabilità lascerà inalterata la sua stima (2,4%), nella consapevolezza che l’intera partita si riverserà sulla prossima legge di stabilità. E qui entra in gioco nuovamente il tema delle “interpretazioni” della flessibilità. È su questo punto, più che sul giudizio vero e proprio di Bruxelles relativamente all’impianto su cui poggia la legge di stabilità, che si giocherà la prossima manovra.

Fin d’ora si può ipotizzare che il Governo proverà a invocare nuova flessibilità (per la parte eventualmente non autorizzata quest’anno) e comunque a ricorrere anche nel 2017 all’arma del maggior deficit, senza infrangere il limite massimo del 3% del Pil. Una strada per molti versi obbligata, poiché altrimenti, tra taglio del deficit strutturale (lo 0,5% del Pil) e nuove clausole di salvaguardia da disattivare (15 miliardi solo nel 2017), gran parte della prossima manovra sarebbe già di fatto ipotecata per circa 25 miliardi. Pochissimi margini per interventi diretti a sostenere la domanda interna.

Con questo fardello di partenza, come finanziare l’annunciato taglio dell’Ires, tanto per citare uno degli interventi in cantiere? Il ricorso anche nel 2017 a un maggior deficit nominale rispetto al target programmato (1,1%) potrebbe essere percorribile, a patto che il debito quest’anno cominci la sua traiettoria di discesa dal 132,8 al 131,4%, come previsto dai documenti programmatici del Governo. Scenario realistico con l’attuale livello di bassa inflazione, e in presenza di un Pil che difficilmente centrerà l’1,6% nel 2016 e 2017? Proprio la variabile debito consiglia prudenza nella tattica negoziale con Bruxelles, in procinto peraltro di richiamare nuovamente l’Italia su questo punto decisivo, attraverso l’imminente rapporto sugli squilibri macroeconomici eccessivi.

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